I miei viandanti

giovedì 24 giugno 2010

I quartieri settentrionali di Siviglia: la Macarena


Siviglia è una città non grande, ma con molti quartieri caratteristici, da visitare assolutamente, come quello dal nome evocativo de La Macarena: un quartiere antico ma leggermente decentrato verso nord rispetto a Santa Cruz, che arriva a lambire i confini della città vecchia, fino alla sponda del Guadalquivir con l’isola di Cartuja.

Il giovedì mattina si dovrebbe tenere un mercato delle pulci: io adoro questo genere di mercatini, rigattieri, bric a brac...in realtà, nelle stradicciole caratteristiche (calle de la Feria e limitrofe) più che un vero mercato c’è un assortimento eterogeneo di oggetti vecchi, usati, chincaglierie varie, similmente alla nostra Porta Portese ma in tono più dimesso. Do un’occhiatina distratta agli oggetti apparecchiati per terra, ma cose veramente interessanti non mi sembra ci siano, tranne qualche vecchio poster di folclore locale e uno stand di abiti da gitana usati.
Meglio proseguire alla scoperta di questo delizioso barrio antico: i palazzi, piccoli, coloratissimi e molto decorati, sono all’altezza sia di Santa Cruz che di Triana, eppure La Macarena rimane un quartiere tranquillo, assolutamente poco frequentato dai turisti (a parte quei pochi sparuti che si aggirano per il mercatino).
E invece è un vero peccato perchè basta sconfinare dalle ultime affollate strade di Santa Cruz per scivolare nella calma.



E’ assodato: raccapezzarsi per i gli intricati vicoli di Siviglia è veramente una impresa degna di un esploratore, pur muniti di due cartine (che, in molti casi, non coincidono: evidentemente la rete stradale della città riesce a confondere anche i cartografi).
I vicoli, stretti, tortuosi, sembrano fatti apposta per ottenebrare il visitatore: raggiungere il punto B partendo da un punto A in linea retta sembra davvero difficile, evidentemente gli architetti sivigliani hanno usato una geometria tutta loro, sconosciuta al resto del mondo occidentale per cui, per arrivare al famoso punto B partendo da un punto A devi necessariamente perderti almeno cinque o sei volte, ripassare per le stesse strade fino a sentirti un po’ cretina per poi imbroccare, spesso per puro caso e quando pensi di essere finito da tutt’altra parte, la direzione giusta.

Mi è successo a Santa Cruz, in tutte le viuzze attorno all’Alcàzar, mi è successo a La Macarena: ma forse, a volte, questo è il modo migliore per scoprire tutte le bellezze nascoste in un quartiere, perdersi e poi ritrovarsi, poi perdersi di nuovo e lasciarsi trasportare dal caso.



Questo quartiere non ha nessun monumento particolare, tranne molte chiese, la sua bellezza sta proprio nelle strade, nei palazzi coloratissimi e nell’atmosfera inconfondibilmente sivigliana: oltre alla famosa Calle Feria, quella del mercatino, c’è la Calle del Relator, la Calle Castellar, la Calle Santa Clara che dal Monastero di San Clemente (chiuso) passa per la Chiesa de Jésus del Gran Poder: una chiesa dalla facciata articolata, in mattoni, su un grazioso sagrato ombroso: percorrendo la navata a pianta tonda si arriva alla statua lignea di un Cristo che presenta una particolarità tutta sua.

E’ previsto infatti un corridoio che passa dietro all’altare che permette di arrivare al retro del Cristo, raffigurato chino sotto il peso della Croce, per baciarne il tallone in segno di devozione.

Continuando a girare si incontra una piazza particolare, una specie di grande boulevard pedonale con panchine e alberi, chioschi e giochi per bambini, l’Alameda de Hercules, decorata da colonne romane e una statua un bronzo di torero. Da uno degli scorci ho capito di non essere lontana dal fiume e dalla mia prossima tappa, l’isola di Cartuja: ma è troppo presto, devo ancora andare a vedere l’attrazione del quartiere.



Camminando tra facciate decorate da graziosi balconcini e bovindi in ferro battuto per la lunghissima San Luis, che praticamente attraversa orizzontalmente tutto il quartiere, si arriva ad una delle Porte della città e alla basilica che dà il nome al quartiere: la veneratissima Vergine de La Macarena, che contende la devozione dei sivigliani alla grande rivale gitana, la Vergine del Rocìo, a Triana.



L’immagine di Maria, sempre addobbata con ricche vesti e gioielli, appare un po’ dovunque, nel barrio, mentre nella chiesa si trova la preziosa statua, al centro di un sontuoso altare barocco. Siviglia, famosa per le sue feste religiose, dedica a La Macarena la Semana Santa, una delle feste popolari e religiose più famose di tutta la regione, in occasione della Pasqua.


La chiesa in sè stessa, all’estrema periferia del barrio, è un bel’esempio di falso barocco, nel senso che l’originale è andata distrutta negli anni 30 ed è stata ricostruita in stile nel 1949, con una allegra faccia dipinta di bianco candido e squillante giallo sole.



Ci troviamo alla fine del quadrante settentrionale della città, dove i quartieri del centro sfumano verso la periferia, e di fronte alla'Isola di Cartuja, meraviglia architettonica dell'Expo 1992...ma questa è un'altra storia!

Altri racconti di Siviglia:

Arrivo in città

Calle de Las Sierpes, Flamenco, Scarpe e ventagli

Il Barrio di Santa Cruz

Il Barrio gitano di Triana

I Palazzi reali

Lungo le sponde del Guadalquivir

La Cartuja

Il Museo di Bellas Artes

domenica 20 giugno 2010

Stanca ma invitta...



Ed eccomi qua, dopo parecchi giorni di assenza!

In realtà è parecchio che mi crogiolo nella latitanza, un periodo di crisi artistica, culinaria, creativa, o forse un periodo di crisi e basta, chissà.

Rimando ogni giorno l'aggiornamento del blog, riguardo distrattamente le foto, i racconti di Siviglia che ancora aspettano di essere completati (vi ho annoiato abbastanza, con i miei appunti di viaggio, oppure posso propinarveli ancora per un po'?), le fotografie di dolci già fatti e accantonati, provo un pizzico di colpa per aver mollato tutto, ma non mi decido a ripartire.


Tutte le cose hanno un tempo, il tempo dell'entusiasmo è quello in cui una passione emoziona e spinge, invoglia e gratifica: no, non dico che il tempo dell'entusiasmo è finito, semplicemente mi sento un po' stanca, anche per una serie di motivi di salute che hanno inciso non poco sulle mie forze e sulle mie energie: spero di tornare in piena forma al più presto, anche se ho davanti a me molte prove difficili da affrontare, nei prossimi giorni.

Il blog ha cominciato a starmi stretto, e non solo in senso metaforico: ho cambiato template, un cambiamento grafico che in questo momento mi si addice di più, anche se non con toni molto differenti da quello precedente. In fondo sono più di due anni e mezzo che i miei racconti si sono srotolati sempre sulla stessa pergamena, ormai troppo lisa e consunta per i miei gusti, e allora si cambia!

Per fortuna anche Blogger si sta adeguando ai nuovi modelli degli altri blog, più creativi e flessibili di quelli precedenti.Spero che questo cambiamento grafico sia l'inizio, anzi il proseguimento, della passione che mi accompagna lungo questo lungo racconto.

E allora ricominciamo con una nuova ricetta, stavolta non di mia invenzione, ma presa da un'amica di blog, Anna. Devo ammettere che, dopo una serie di fallimenti con le ricette dell'Enciclopedia della Pasticceria di Repubblica (ho provato rispettivamente dei biscotti al vinsanto, una torta lievitata alle mele e non mi ricordo cos'altro), m'era passato anche l'entusiasmo di sperimentare nuove ricette, e allora sono andata sul sicuro.

Torta di Mele e Marmellata di Frutti di bosco.



E ho fatto bene, perchè la torta di Anna, con mele e marmellata, è venuta squisita: morbidissima, dolce e coccolosa come piace a me.




Per la ricetta rimando direttamente al suo blog, posso solo dire di averla cotta in una teglia da 24 centimetri foderata di carta forno, forse troppo piccola, e probabilmente è venuta più alta della sua, ma è cresciuta benissimo lo stesso. Non avevo, purtroppo, una marmellata di ribes della Provenza, e mi sono arrangiata con una marmellata di Frutti di bosco normale, molto scura e un po' asprigna, che ha legato benissimo col dolce delle mele.

In ogni caso, il tempo di cottura nel mio forno è stato maggiore, circa 50 minuti.

A presto, spero, sempre con nuove avventure e nuove sperimentazioni, culinarie e non...

giovedì 10 giugno 2010

Siviglia sospesa tra Oriente ed Occidente: i Palazzi Reali



I palazzi reali sono una delle cose più spettacolari della città, valgono da soli una visita a Siviglia, anche perché sono quanto di più esotico abbia mai visto nella nostra vecchia Europa, un pezzo di Oriente trapianto nel meridione.

Avevo riservato al primo giorno in città la visita del centro, Santa Cruz e il Palazzo reale: alle 11 di mattina, dopo un breve giro per Avenida della Costituciòn e la Cattedrale, mi sono diretta all’ingresso del palazzo reale che si trova poco lontano, trovandoci una fila chilometrica che aspettava di entrare, non diversamente da quella che si può vedere fuori Versailles e fuori i Musei Vaticani: ho fatto immediatamente dietrofront, visto che l’ultima cosa che voglio è vedere un bel luogo infestato da turisti chiassosi e invadenti.

Ho passato la mattina a girare per Calle Sierpes e tutte le viuzze limitrofe, tipo la strettissima Callejon de Agua, che costeggia le mura del palazzo e su cui si apre uno splendido patio fiorito e verdeggiante (vedi post su Santa Cruz).
Dopo aver mangiato un panino volante all’ora di pranzo, sotto un sole caldissimo, ci ho riprovato, e stavolta la fila era accettabile, visto che la maggior parte dei turisti all’una e mezza pensa ad altro, piuttosto che alle bellezze artistiche.

Diversamente dai palazzi del resto d’Europa, a Siviglia è molto forte l’impronta araba sia negli edifici del XV e XVI secolo, fino al novecentesco stile neo mudejar che utilizzò, fino a pochi decenni orsono, archi arabi e decorazione di azulejos (basti vedere il Parque Maria Luisa, costruito per l’Esposizione del 1929, che riprende temi architettonici e decorazioni vecchie di cinquecento anni).

Gli Alcàzares risalgono al periodo della dominazione araba, la sua costruzione iniziò nel X secolo e proseguì fino al XVI, ed è esattamente come ci immaginiamo i palazzi delle favole Mille e una notte.
Il palazzo e i grandi giardini sono circondati da mura merlate interrotte dalla Porta del Leòn, attraverso cui si accede ad un primo cortile ombroso, quindi al Patio de la Monterìa, su cui prospetta la facciata del Palacio Pedro I.

Da qui si entra nel palazzo vero e proprio, una successione di pati, cortili a portico e saloni: il Patio de las Doncellas è formato da un portico ad archi gotici e pareti decorate a stucco e ad azulejos, con un canale centrale, poi il Patio de Las Munecas, dal lucernario a vetri, quindi una successione di archi a ferro di cavallo attraverso cui si accede a stanze dalle mura spesse, tutte decorate da stucchi, intarsi e azulejos, i soffitti decorati sontuosamente ad intarsi di legno dorato, come questa superba cupola del Salon de Embajadores, costruita nel 1427.




Le vaste sale e freschissime sale, tutte decorate con intarsi di piastrelle e arazzi, si affacciano su una complicata successione di fontane, patii, giardini e viali prospettici, giochi d’acqua, vezzose panchine di azulejos e fontanelle, oltre ad una profusione di piante di arance, arance il cui profumo dolce si mescola a quello delle mille rose coloratissime che ornano questo giardino.

Si esce nel Jardin de Las Flores, dall’elegante corridoio a portico, a e si prosegue per una successione di cortili dal pavimento in cotto, ognuno con una fontana, portici, statue, fino ad arrivare alla Fontana di Mercurio nel Jardin del Estanque, una vasca rettangolare circondata dalla Galleria del grottesco percorrendo la quale si ammira tutto il giardino dall’alto.



Scesi di nuovo al livello terra, si prosegue passeggiando tranquillamente per una serie di giardini, il cui allestimento proseguì durante il XVIII e XIX secolo: il Jardìn de Los Poetas, il Jardìn Inglès, Jardìn de Las Damas, tra roseti, labirinti di arte topiaria, panchine di azulejos ed esotiche palme.

E’ bellissimo sedersi sotto gli alberi ombrosi, tra il cinguettio degli uccelli e il chioccolìo delle mille fontanelle, a gustarsi la bellezza e l’armonia di questi giardini, che sono una vera meraviglia.



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