I miei viandanti

domenica 26 luglio 2009

Braies, aspettaci, stiamo arrivando!



Ed eccoci arrivati alla partenza, le valigie ancora aperte e traboccanti di vestiti, felpe, scarpe da trekking, e soprattutto libri: mai partire senza qualche bel libro, magari comprato appositamente per il viaggio.
Ci sono dei viaggi che, curiosamente, associo automaticamente al libro che mi sono portata.

Prima cercavo di portarmi qualche mattone che non ero riuscita a leggere d'inverno, troppo distratta da altre cose, poi ho smesso...un anno mi portai i primi tre volumi di Alla Ricerca del Tempo perduto, cercando di rimediare alla mia ignoranza su Proust ma, devo ammetterlo con vergogna, mi sono arenata intorno alla pagina 100 del primo libro...
Forse ero ancora troppo giovane per apprezzarlo, inoltre l'edizione era molto economica, di quelle che dopo qualche apertura cominciano a volare i fogli, e scritta piccola, con le pagine in carta riciclata grigiolina, difficili da leggere: insomma, non è stato un successo.

Ci proverò un'altra volta, magari con un'edizione migliore.

Un anno invece, in un lungo viaggio per nave per la Grecia e Creta, mi portai una vecchissima edizione di Anna Karenina, due volumetti di carta ingiallita credo risalenti agli anni Quaranta: dopo aver penato le prima cinquanta pagine per capire le varie desinenze dei membri delle famiglie russe, mi sono appassionata moltissimo alla storia, le pagine scorrevano veloci e intriganti, sono riuscita a finirlo in pochi giorni.

Ripenso alle brulle coste crestesi che sfilavano sotto i nostri occhi, sul ponte della piccola nave, battuto dal vento e dalle onde di un mare dai riflessi color zaffiro: curioso davvero associare il ricordo e il calore di un paesaggio mediterraneo alle infinite e fredde pianure coperte di neve, nello sconfinato inverno russo...

Quest'anno ho comprato il volume appena uscito di Peter Mayle, lo scrittore inglese che vive in Provenza, autore anche del libro da cui è stato tratto il film Un'ottima annata, che si intitola per l'appunto Provenza dall'A alla Z...insomma, per ora non ci posso andare di persona, allora mi consolo leggendo il supo racconto. Feci un viaggio tra Provenza e Liguria, qualche estate fa, veramente dei posti bellissimi, mi piacerebbe tornarci per approfondire la conoscenza, vedremo...

Poi ho trovato un volumetto di Anthony Bourdain, il famoso cuoco, dal promettente titolo Il Viaggio di un cuoco...mi sembrava piuttosto adatto un libro che coniuga viaggio e cucina, un po' gli argomenti principali anche di questo blog (anche se non ho alcuna velleità di essere un'esperta gourmet), poi vi racconterò com'è...

Insomma, manca davvero poco!

Sarò saltuariamente collegata anche dal cocuzzolo della montagna ( mio marito non si stacca mai dal suo portatile, neanche in vacanza), ma ovviamente sarà un po' difficile postare qualcosa di impegnativo...

Un saluto a tutti, arrivederci alla metà di agosto, buone vacanze a tutti i pellegrini che passano in questa Foresta!

giovedì 23 luglio 2009

Promesse di vacanza e suggestioni d'Africa


I segni sono nell'aria, impercettibili: sotto i refoli bollenti del vento africano, Roma comincia a mostrare un volto più quieto, un'atmosfera più rilassata.
Non è raro, in questi giorni, passeggiare per strade meno affollate, un'atmosfera di vacanza lieve, come una vaga promessa nell'aria.

E anche per noi, sono gli ultimi giorni: domani al lavoro, con un sospiro di sollievo, saluterò tutti e cercherò di lasciarmi alle spalle stress e nervosismo, cercando di mettere più strada possibile, e non solo metaforicamente, dalla noia del quotidiano.

Sembra quasi troppo bello per essere vero.

Alla fine, uno aspetta tutto l'anno l'estate, per poi godersi solo pochi giorni, troppo pochi...come rimpiango quelle belle estati dell'Università quando, libera come l'aria, gli amati e sudati libri chiusi con soddisfazione, progettavo sulla cartina d'Europa il viaggio dell'estate, con lo zaino pieno di sogni e tre mesi di tempo davanti...quando si cresce non ci si possono permettere più certi lussi, e allora si vorrebbe aver sfruttato meglio il tempo e le occasioni avute in passato: purtroppo ci si rende conto di quanto, per una serie di fisime mentali, non si sia riuscito a sfruttare nè ad apprezzare appieno quella libertà, quella spensieratezza che, purtroppo, dopo non tornano più, come gli anni della giovinezza.

Comunque, bando alle malinconie, e soprattutto al pensiero di ricominciare daccapo, al ritorno: le vacanze servono non solo a divertirsi, a conoscere nuovi posti, ma anche e soprattutto a ritemprarsi, a ricaricarsi di nuove energie.

Sto continuando a pasticciare sulla mia spianatoia, nonostante il clima bollente: in verità, sto cercando di finire alcuni pacchi cominciati di varie cose, tra cui un chilo di semola di grano duro, comprata in un impeto di panificazione che si è arenata per strada, e che stava per scadere: peccato buttarla, e allora ho trovato questa ricetta marocchina pubblicata da Staximo
.





Facevano proprio il caso mio, questi biscottini di semola dal nome esotico e misterioso, Ghoriba, che rievoca sapori speziati e notti nel deserto... si tratta di biscottini friabili, con un sentor di vaniglia e una consistenza particolare, che mi sono piaciuti molto.

Esteriormente potrebbero assomigliare a degli amaretti, ma sono assolutamente diversi.

Li ho abbinati ad un latte di mandorle ben freddo, e devo dire che l'associazione è assolutamente perfetta...



La ricetta originale è qui, però ve la riporto comunque:


Per due teglie grandi:
400g Semola Rimacinata di Grano Duro
125g Zucchero a Velo
90g Zucchero a Velo Vanigliato
40g Burro
45g Olio di Semi di Arachide (io di Mais)
2 Uova
1 cucchiaino di Lievito per Dolci
1 pizzico di sale
Altro Zucchero a Velo vanigliato

Far sciogliere a fuoco dolce il burro nell'olio, senza farlo soffriggere.

In una ciotola capiente montare le uova intere con tutto lo zucchero a velo (125+90 grammi, io ne ho messo qualcosa di meno pensando che venissero troppo dolci, ma non lo erano in maniera particolare, per cui si può tranquillamente mettere la quantità riportat).

Una volta montate le uova, cominciare ad aggiungere burro e olio, il sale e quindi la farina mescolata al lievito.
Quando l'impasto comincia a diventare consistente, continuare a mescolare con un cucchiaio di legno, quindi versarlo sulla spianatoia e continuare brevemente ad impastare. Mettere a riposo l'impasto per un'ora in frigorifero.

Mettere dello zucchero a velo vanigliato in un piattino: formare delle palline grosse come una noce piccola ( io li ho fatti di due misure, e quelli più piccoli sono più carini), schiacciarle tra i palmi, rivoltarle nello zucchero a velo e disporle sulla teglia.

Infornare a forno caldo a 170 gradi, terzo ripiano dal basso ( io ci ho messo una leccarda sopra per non farli bruciare sotto) per circa 20 minuti.
Non devono colorirsi trpppo, ma rimanere chiari, e formare delle spaccature sulla superficie.


venerdì 17 luglio 2009

Alla ricerca dell'estate perduta




E siamo alla fine della settimana, finalmente...e anche nel pieno dell'estate, anche se ho la sensazione che il tempo mi stia sfuggendo di mano, senza che possa far nulla per trattenerlo.
I giorni si srotolano faticosi ma frenetici, nonostante il caldo e la spossatezza, avvoltolati in una routine sempre uguale, in cui si alternano giornate lunghe, stressanti e pesanti, a giornate in cui si cerca di recuperare un po' di sè e del proprio tempo, cercando di sciogliere i nodi che si sentono dentro e di ritrovare un po' di leggerezza.




E, quando si pensa di essersi allontanati abbastanza, di aver messo abbastanza spazio e tempo tra sè e la fatica,di essersi ricaricati di energie nuove, ecco che si ripiomba nella quotidianità di sempre, e gli effetti benefici del riposo e dello svago si sciolgono come neve al sole.
Per fortuna ho un paio di giorni di relax, un finesettimana che cercherò di sfruttare al massimo, poi un'ultima settimana di lavoro e poi arrivederci.
Certo, due settimane non sono abbastanza per recuperare un anno di stanchezza, e ho anche il pensiero che mi aspettano venti giorni ad agosto di lavoro impegnativo...insomma, è un continuo rincorrersi, tra fatica e riposo, che sembra non finisca mai, e che alla fine ti lascia spossato e senza risorse.


In questi ultimi giorni non sono stata molto presente, ho avuto poco tempo da dedicare al mio spazio e anche per visitare quello altrui.
Ci sono stati dei giorni in cui sono uscita nel chiarore dell'alba, e sono tornata a casa tredici ore più tardi, completamente annichilita nel corpo e nell'anima e, tra le ultime faccende casalinghe prima di stramazzare sul letto, non ho avuto neanche la forza di accendere il pc e di scaricare la posta, il che dice tutto.
Ma non lamentiamoci troppo, e cerchiamo di vedere gli aspetti positivi...

Faccio spesso il cous cous, abbinandolo spesso a degli avanzi di verdure: ormai lo considero una valida alternativa alla pasta o ad un'insalata di riso, soprattutto quando sono sola a casa e ho voglia di qualcosa di buono ma veloce.

Ormai ho sperimentato varie combinazioni, ma questa mi è piaciuta in maniera particolare: la sera prima avevo fatto una ratatouille di verdure con peperoni, zucchine e pomodorini, a cui ho aggiunto il mais. I colori si abbinano in maniera molto estiva, e i sapori sono perfetti, soprattutto quello del peperone che col cous cous lega benissimo.
Si può tranquillamente fare la verdura per un pasto e col resto condirci il cous cous per il giorno dopo.

E quindi:
Per la Ratatouille, tre o quattro persone
2 peperoni grossi (colorati)
dieci pomodorini pachino
3 zucchine
mezzo barattolo di mais
cipolla
olio evo

Cous cous: quattro cucchiai a persona

Tagliare a striscioline i peperoni e quindi a tocchetti.

Oliare una padella antiaderente, buttare in padella i peperoni, i pomodorini tagliati a metà e la cipolla tagliata sottile, far saltare a fuoco vivace qualche minuto mescolando con un cucchiaio di legno.

Aggiungere qualche cucchiaio di acqua e coprire.

Nel frattempo tagliare a rondelle le zucchine.

Dopo una decina di minuti aggiuengere le zucchine, far saltare bene tutto, aggiungere un bicchiere di acqua e coprire di nuovo, lasciando uno spiraglio.

Far cuocere per circa 40 minuti a fuoco dolce, mescolando spesso ed aggiungendo altra acqua ( io ci ho messo circa quattro bicchieri di acqua), e salando solo pochi minuti prima di spegnere.

Quando la Ratatouille è fredda, aggiungere il mais ben scolato.

Mettere il cous cous in una larga padella antiaderente, e aggiungere qualche cucchiaio di acqua calda mescolata a dell'olio e salata.

Lasciar riposare una decina di minuti, quindi aggiungere un filo d'olio e far asciugare il cous cous a fuoce dolce, sgranandolo con una forchetta.

Spegnere il fuoco, quindi aggiungere la ratatouille col suo sughetto, e far raffreddare.

Servire a temperatura ambiente.



martedì 14 luglio 2009

Oggi si sciopera




Primo sciopero generale contro il DDL Alfano.


Tutto il mondo dei bloggers si sta mobilitando contro ogni forma di limitazione di espressione: il web deve rimanere libero, visto che è uno dei pochi spazi in cui poter esprimere liberamente pensieri ed opinioni.

L'appuntamento organizzato da Diritto alla rete è a Roma, Piazza Navona, alle ore 19,00.

venerdì 10 luglio 2009

Preparativi per le vacanze



Avete comincianciato a pensare ai bagagli, ad organizzare i dettagli, a fare la lista delle cose da mettere in valigia?
Lo ammetto, sono una di quelli che compila liste, abbinamenti, si organizza le giornate in vista della partenza, compra guide e progetta itinerari: è un modo di pregustarsi la vacanza, di assaporarla in anticipo.

La nostra partenza il 26 di luglio per quel del Trentino, anche se per pochi giorni, comporta comunque uno spostamento consistente, nell'ordine, di: bagagli ( in montagna non si può lesinare, meglio un maglione in più che in meno, tanto comunque si va in macchina); gatti con gabbietta personale e buste di scatolame e croccantini da sfamare un reggimento: staranno via un mese, piccolini, e allora si fa un approvvigionamento consono, a loro e in parte anche ai gatti ospitanti, i quali saranno sicuramente contentissimi, come ogni anno, di veder arrivare i loro cuginetti romani ad invadere il territorio. Per tutti loro sarà sicuramente una vacanza mooolto avventurosa e assai poco rilassante.

Quest'anno, poi, avendo curato in maniera particolare i miei davanzali, ho deciso che non posso lasciar morire miseramente le mie verbene e le mie piantine, come gli altri anni: per quanto ci si attrezzi, il sole impietoso del giorno me ne farebbe ritrovare solo gli scheletri rattrappiti, così anche loro partiranno per il fresco.
Insomma, alla fine la nostra macchinetti assomiglierà a quella della famiglia Brambilla in vacanza.

A questo proposito, la mia famiglia non è certo nuova a questo tipo di imprese, abbiamo fatto ben di peggio. Quand'ero piccola, avevamo una piccola 126, prima color verde oliva, poi una color arancione.
Con questo trabiccolo di latta siamo andati in vacanza, era il 1977, fin nella lontana Tarquinia o almeno, a noi ci parve lontanissima, visto che ci mettemmo qualche ora prima di arrivare, stremati, nella nota località balneare.

Siccome dovevamo stare via due mesi, avevamo caricato la Carolina (la 126) fino all'inverosimile: l'addetto allo stivaggio era mio padre il quale, con qualche ora di accorti incastri -bisognava alzarsi all'alba per questo - riusciva a stipare l'angusto abitacolo fino all'ultimo millimetro.

Mi ricordo benissimo di essere stata infilata a forza, tra un bagaglio e l'altro, in uno spazietto minuscolo sul sedile posteriore, con i pacchi anche sotto i piedi, dietro la testa e sulle gambe, e accanto alla gabbia dei bengalini cinguettanti che, ovviamente, portavamo con noi.

Mamma ancora si ricorda che, a forza di infilare roba dappertutto, papà le aveva lasciato a malapena lo spazio per i pedali (ha sempre guidato lei).
Ma il capolavoro veniva raggiunto con il portapacchi sopra il tetto della macchina: tra valigie e altri ammenicoli tutti legati da un intrico di elastici e corde, la piccola 126 era diventata più alta che lunga, rischiando di caracollare e finire fuori strada ad ogni curva e ad ogni alito di vento.
Mi spiace di non avere fotografie di quelle partenze, potevamo finire nel guinnes dei Primati...





Questo periodo, l'ho già detto, sono in un periodo un po' irrisolto, di transizione: oscillo tra progetti e pigrizia, ci sono dei giorni in cui giro, vedo, faccio, incontro gente, e altri in cui galleggio in una pigrizia sognante, incerta sul da farsi.
Così anche in cucina: certi giorni cucino, impasto e spadello a tutto spiano, altri vivrei di pane e latte, al minimo della sopravvivenza.
Però, qualche biscottino mi diverto ad infornarlo, nonostante la temperatura non invogli proprio ma, insomma, ancora si resiste.

In realtà, nelle loro intenzioni, questi sarebbero dovuti essere degli scones: li avevo visto sul blog del Cavoletto, e mi avevano tentato parecchio solo che, per non scopiazzare pedissequamente, avevo trovato una ricetta simile su questo sito.
Una volta preparati tutti gli ingredienti, forno già acceso, burro morbido e spianatoia pronta, mi sono resa conto con mio sommo raccapriccio che, di tutti i barattoli di farina che riempiono la mia credenza (di mais, di semola di grano duro, 0 normale, Manitoba, semolino etc…), l’unica che mi mancava era proprio la normalissima 00.

Allora ho fatto un pastrocchio dei miei, assemblando la farina di mais Fioretto (quella a grana grossa) con la Manitoba, sperando che venisse fuori qualche di almeno commestibile.
Sicuramente non hanno molto degli scones anche perché, forse, dovevo stender l’impasto ancora più alto: sono cresciuti ma non molto, probabilmente anche perché la farina di mais cresce poco, e la Manitoba è più indicata per il lievito di birra.
Comunque, alla fine, si sono fatti mangiare: sono dei dolcetti morbidi, friabili, non troppo dolci, ottimi soprattutto per colazione nel caffellatte, magari con della marmellata fatta in casa.

E allora, per una teglia grossa:
100 grammi farina di mais fioretto (oppure fumetto)
30 grammi farina 00
120 grammi farina Manitoba
50 grammi di zucchero
50 grammi di burro
125 grammi uvetta
Una presa di sale
Una bustina di lievito
2/3 bicchiere di latte
Poco latte e zucchero a velo

Mescolare, in una ciotola capiente, le farine, il lievito, lo zucchero e il sale.
Cominciare ad intridere il burro morbido, con una forchetta, quindi aggiungere il latte, fino a formare un impasto molliccio.

Aggiungere l‘uvetta, quindi versare sulla spianatoia infarinata (forse dovete aggiungere un po’ di farina, in maniera da avere una pasta non troppo appiccicosa, ma comunque morbida).

Stendere in uno strato alto circa 3 centimetri e cominciare a tagliare i biscotti con una formina piccola, tonda (io ho usato un piccolo bicchiere da liquore, perché una forma semplicemente tonda non ce l’ho, e quelle tipo stella, petalo, quadrifoglio o cuore non vanno bene, la pasta è troppo molle).

Mettere i biscotti sulla teglia coperta di carta forno, facendo attenzione a non metterli troppo vicini perché ricrescono. Spennellarli con un goccio di latte e spolverarli di zucchero a velo.

Nel forno caldo a 200 gradi, terzo ripiano dal basso, con una leccarda al piano di sotto, per circa 20 minuti.



mercoledì 8 luglio 2009

Chiare fresche e dolci acque

E eccoci arrivati alla parte più umida dell'Orto Botanico: attraverso i, viale delle Palme, di cui alcuni preziosi esemplari raggiungono il secolo di vita, ecco la Fontana dei Tritoni, opera dell'architetto Fernando Fuga, a cui si devono sia le fontana e i giochi d'acqua che la progettazione del giardino: una vasca polilobata con due tritoni sdraiati, su cui galleggiano placide due curiose papere, dai colori smaglianti.




Salendo verso la collina, verso le pendici della collina, si lasciano i colori della macchia mediterranea per immergersi in una frescura ombrosa e umida, sotto cui prosperano piante come le felci.



Il giardino della Villa Corsini, quando fu progettato, doveva essere spettacolare: il paesaggio, movimentato da fontane e giochi d'acqua, digradava dolcemente verso il Tevere che, non essendo ancora stato arginato dagli imponenti muraglioni fine-ottocenteschi, arrivava a lambire con le sue acque i giardini delle ville affacciate sull'acqua.

Il paesaggio, ovviamente, è molto cambiato, e non è possibile neanche immaginare la bellezze delle sponde verdeggianti del fiume, su cui si affacciavano case, giardini e ville: ne abbiamo solo una vaga idea ammirando i dipinti dell'epoca, soprattutto gli splendidi acquarelli di Ettore Roesler Franz, esposti al minuscolo Museo di Trastevere. Certe volte è davvero difficile riconoscere, nei bellissimi dipinti del pittore, vie, strade, piazze, interi quartieri addirittura, che vennero completamente stravolti dopo il 1870.

Soprattutto, non ci è rimasto molto delle splendide ville e dei giardini che decoravano la città: per fortuna qualcosa ancora possiamo ammirare, anche se molti splendori sono andati perduti per sempre, a causa di una lottizzazione selvaggia che ha tramutato, in pochi decenni e per sempre, il volto della città.

Del giardino originario c'è rimasta questa bella fontana barocca, chiamata degli 11 Zampilli, sempre opera del Fuga: salendo per la collina, oltre la fontana, si può ammirare un panorama del centro di Roma, su cui svetta la mole candida e maestosa del Vittoriano, e le cupole barocche delle chiese della zona intorno a Corso Vittorio.




Scendendo di nuovo a valle, un piccolo stagno con piante acquatiche: le ninfee galleggiano pigre e luminose sopra le acque tranquille, e alcune papere galleggiano pure loro, godendosi il fresco dello stagno e il calore del sole...




Ed ora una parte interessante, le aiuole dedicate alle piante aromatiche e medicinali, una vera erboristeria all'aperto, chiamata il Giardino dei Semplici.

Molte sono le specie selvatiche, che vediamo frequentemente nei nostri prati o nei campi incolti, e che sono invece utilizzate da millenni come rimedi naturali.
Borraggine, malva, camomilla, dente di leone, borraggine, citronella e tantissime altre...tra queste spiccano delle macchie rosate di imponenti Rudbeckia, un girasole col capo chino e i squillanti e violacei di plumbago e agapanthus, in una sinfonia di colori e di profumi che avvolge i sensi.


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