I miei viandanti

sabato 30 maggio 2009

Crostata alla ricotta e marmellata di mirtilli




Siete partiti per il lungo week end? I tiggì ci hanno ammorbato con servizi sulle lunghe code ai caselli e sulle autostrade: sarà, ma dalle mie parti le strade sono piene di macchine parcheggiate, come al solito, e la via Boccea era piena di traffico, come un sabato qualunque...

Forse quelli del mio quartiere rimangono a casa, chissà...

Comunque, oggi poche chiacchiere, sono talmente tanto stanca del lavoro dei giorni scorsi da avere poche risorse mentali e creative a disposizione, allora vi lascio questa crostata che avevo visto tempo fa sul blog di Zio Dà, una versione a doppio strato con ricotta e marmellata e che mi aveva stuzzicato non poco.

Io non faccio spesso le crostate, più che altro per pigrizia, per non tirare fuori la spianatoia, impastare, stendere etc...
Tra l'altro con la pasta frolla non ho proprio un rapporto idilliaco: con le dosi normali mi riesce difficile lavorarla, va a sapere perchè, e poi quella quantità di burro mi inquieta (non amo in particolare questo tipo di grasso). Solitamente ne faccio una versione edulcorata, che farebbe inorridire qualsiasi purista della pastafrolla: diminuisco il burro, lo sciolgo invece di metterlo morbido, ci aggiungo un paio di cucchiai di liquore e mezza bustina di lievito.

Insomma, un mezzo pastrocchio, ma a me non dispiace.
La crostata di ricotta la faccio, qualche volta, anche se spesso risulta un po' pastosa, impegnativa da mangiare e da digerire.

Stavolta ho provato a fare la pastafrolla classica, seguendo le indicazioni di Zio da', e devo dire che è riuscita benissimo: anche l'impasto era ottimo, ho solamente sostituito il tipo di marmellata, invece di quella di amarene ho messo quella ai mirtilli, ma semplicemente perchè non l'avevo in casa! Trovo che la ricotta si abbini meglio con della marmellata scura e poco dolce, più forte e meno smielata di quelle di pesca o albicocca.
La prossima volta, magari, provo con quella di visciole, una confettura difficile da trovare ma dal sapore inconfondibile: anni fa si trovava quella dell'Arlecchino, scura, leggermente asprigna, una delizia...le ultime che ho assaggiato non erano assolutamente all'altezza, chissà perchè...





E allora, la pagina originale è questa, vi riporto per comodità le dosi della ricetta:

Pasta frolla :
gr. 300 farina 00,
gr. 150 burro,
gr. 150 zucchero,
1 uovo e 1 tuorlo.

Crema alla ricotta: :
gr. 500 ricotta,
gr 200 zucchero, 1 uovo,
strega a piacere (io ne ho messi 2 cucchiai).

un vasetto di marmellata di mirtilli da 400 grammi

teglia da 26 centimetri di diametro


In forno sul terzo ripoano dal basso, a 180 gradi, per circa 1 ora, più 5 minuti di grill elettrico per colorire la superficie superiore.


martedì 26 maggio 2009

Dissertazioni televisive, ovvero, come sparare sulla Croce Rossa

Vi è capitato mai di desiderare di andare a vivere altrove, molto lontano, magari in una landa desertica, magari nelle desolate terre dell'Antartide, e di desiderare che la vostra vita consista nel piantare una tenda e vivere di bacche e radici, avendo come unico scopo la catarsi della mente e la contemplazione del sorgere del sole e dello scorrere del tempo? E' un pensiero che mi affascina sempre più spesso....


Lo so, non reggo bene lo stress, è un mio limite. Magari reggo benissimo la noia, posso rimanere con lo sguardo perso nel vuoto, a trastullarmi con i miei pensieri senza alcun cenno vitale, per ore, senza annoiarmi affatto. Credo di avere una sottile vena autistica, per cui in compagnia di me stessa sto benissimo, mentre la compagnia degli altri deve essere ben selezionata e distillata a piccole dosi.
Siccome le persone che abbiamo intorno non sempre si possono scegliere, anzi spesso è così, il risultato è una leggera vena di isteria e ansia che percorre i miei giorni: mi consola il fatto che è una psicosi ricorrente, oggigiorno, per cui mal comune e mezzo gaudio, consoliamoci così...

In questi giorni in cui sono stata malaticcia e fiacca, ho passato parecchie ore sul divano a non fare nulla, il che normalmente potrebbe essere un passatempo rilassante, ma quando non ti senti bene è solo un modo per sopravvivere, troppo stanca per fare altro.
E' proprio in queste occasioni, per fortuna rare, che accendo la televisione e mi rimbambisco di scempiaggini, essendo l'unica occupazione che riempie poco il cervello: basta rimanere davanti allo schermo in stato catatonico, con la mente obnutilata, e le ore si snocciolano lente e pesanti, ma senza troppa fatica da parte della materia cerebrale.

Davvero, non capisco come si fa, in condizioni normali, a stare davanti alla tv per parecchie ore al giorno. Ma, non avendo la forza di fare molto altro, neanche stare davanti al pc - con cui hai, quantomeno, un rapporto più attivo, di scelta, di creatività addirittura - ne ho approfittato per fare un corso intensivo sui programmi correnti, di cui accuso assoluta ignoranza.

Sembrerà curioso, ma io preferisco di gran lunga la programmazione estiva a quella invernale: lo so, ai primi di giugno chiudono tutti i programmi, le serie, gli sceneggiati, e cominciano le repliche delle repliche delle repliche: che, sovente, trovo molto meglio delle proposte invernali.

Preferisco sorbirmi per la decima volta le repliche de La Signora del West, del Commissario Rex (le prime tre serie, quelle col bel Tobias Moretti, le uniche veramente carine), addirittura de La Signora in Giallo (ma l'attrice sarà ancora viva? Perchè, ormai, dovrebbe essere quasi centenaria, visto che ha cominciato a lavorare con Hitchcock): tutto sicuramente meglio degli spettacoli a cui ho dovuto assistere in questi giorni. Meglio un onesto telefilm, anche se un po' vecchiotto, che un talk show o un reality di quelli ancora in onda.
Sono disposta a farmi straziare anche da uno di quei film per la tv stile Rosamund Pilcher, quelli ambientati sempre in posti bellissimi - tipo la Cornovaglia, la Scozia, la Francia - scogliere a picco sul mare, fari, manieri antichi e cottages pieni di fiori e di porcellane antiche, e dove lui è sempre ganzo, ricco e fidanzato con una bionda, magra e stronza, ma alla fine si accorge della protagonista, buona, bella ma sempre di umili origini, e la sposa in barba alle convenzioni sociali, donandole tutto sè stesso e il suo castello, il che come bonus non è male.

Ogni tanto penso che, per quelle due o tre trasmissioni settimanali decenti che danno su ben 7 reti (sempre le solite, Che Tempo che fa, Report, Ulisse e Atlantide), tanto varrebbe staccare l'antenna, disdire l'abbonamento e trovare qualche anima volenterosa che te le registra gratis. Sarebbe sicuramente più conveniente.

Non so se essere più indignata per le trasmissioni indecorose di Mediaset o per quelle della Rai, poi penso che la prima è una tv commerciale, sulla poltiglia fetida ci campa - ma almeno non la pago io - mentre la Rai dovrebbe essere un servizio pubblico: e allora quelle trasmissioni deficienti, della mattina e del pomeriggio, con sedicenti giornalisti che ospitano il gossip più pettegolo e imbecille, spacciandolo per cronaca e attualità, con una pletora di ospiti -opinionisti (pagati da noi) garruli e saccenti che sproloquiano a sproposito su tutto e su tutti, mi fanno veramente inviperire.

L'altro giorno ad una trasmissione rai del mattino c'era un notissimo psichiatra, autore anche di molti libri di successo, a dispensarci pillole di autentica saggezza, il quale magicamente appariva anche nella trasmissione successiva sempre nella stessa rete, ed il pomeriggio traslocava in un altro talk show sempre rai, per continuare ad illuminarci con la sua psicologia spicciola da salotto. L'unica volta che ho solidarizzato con lui è stato quando - mi pare nella seconda trasmissione - un giovanotto rosso chiomato con curioso pizzetto risorgimentale, che spesso compare qua e là come opinionista, continuava, fastidioso come una zanzara, a parlare sopra di lui e ad interromperlo, insopportabile e maleducato, tanto che alla fine il noto psichiatra quasi ha cominciato ad inveirgli contro, come avrei fatto volentieri anch'io.
Il noto psichiatra avrà guadagnato, con qualche ora, quello che io guadagno in sei mesi, ma si potrebbe obiettare che almeno una laurea e un mestiere, in fondo, ce l'ha; ma il rosso chiomato, di cui ignoro totalmente nome e occupazione, perchè lo dobbiamo pagare? Per dar mostra di villania e buzzurraggine? E che mestiere è, quello dell'ospite commentatore? Dove si impara? C'è un corso universitario apposito? Perchè dovrei pagare qualcuno, senza nessun merito particolare, per farci scodellare opinioni opinabili e infarcite di luoghi comuni, quando non pessimi esempi di cafoneria, come sempre più sovente succede?

Allora, nel mio piccolo, anch'io sto facendo l'opinionista, ma almeno scrivo nel mio spazio e non rompo le scatole al prossimo: se uno vuole leggersi le mie opinioni lo fa, altrimenti passa a qualcosa di più interessante, il tutto senza pagare un euro.

Per non parlare dei servizi su personaggi fasulli o addirittura equivoci, sedicenti fotografi buzzurri saliti alle cronache per faccende losche a cui vengono dedicate interviste e speciali (facendo passare il messaggio che più sei cafone e intrallazzatore, più ottieni successo, complimenti davvero); file di sgallettate poco vestite e col sorriso di plastica, senza arte nè parte, il cui unico merito è quello di ben apparire ( e magari di aver razzolato nei pollai giusti); inviate semi - analfabete con vocine stridule che pigolano domande cretine a personaggi cretini, spesso a me sconosciuti; reduci da reality che compaiono ovunque, osannati manco tornassero da una missione per salvare il mondo.
Alla trasmissione pomeridiana di Canale 5 ho ascoltato, incredula, lo sproloquiare di un tipo (a me assolutamente ignoto di nome ma conosciuto di faccia) che parlava del suo viaggio a Lourdes e di Lucifero, l'Angelo delle Tenebre, come parlasse del giornalaio dietro l'angolo o di un amico delle elementari: ma quello che mi ha indignato di più è stata l'espressione tra l'ammirato e l'interessato della conduttrice la quale, invece di chiamare la neuro e farlo internare d'urgenza con la camicia di forza, continuava a fare domande sui miracoli accadutigli dopo Lourdes e sul suo rapporto con l'angelo, rapporto evidentemente stretto e denso di avvenimenti, vista la familiarità con cui il tipo lo nominava.

Ma dico io, uno che si spaccia per giornalista o conduttore, e magari lo è anche, ma non si vergogna a passare tre o quattro ore a fare domande sceme e a rovistare nell'immondizia, sbeccuzzando tra miracoli e miracolati, amorazzi, corna e scandali?
A parte il fatto che la maggior parte di questi non so neanche chi sia né da dove sia uscito fuori (non vedendo nè reality, nè quiz, nè talent show, nè le trasmissioni della de Filippi, ammetto di perdermi tra veline, meteorine, letterine, figurine, tronisti, aspiranti ballerini e così via...).

Davvero, ho assistito a dei servizi che ad un vero giornalista, ma anche a qualsiasi persona di media intelligenza, si rivolterebbe lo stomaco a fare: meglio campare a pane e cipolle, piuttosto che scroccare uno stipendio in questo modo.

E tutto questo, non è che costi di meno di una bella tv, di qualità: mi chiedo quanta gente ci campa, e più che bene, sulle spalle nostre. Ad esempio: quelle graziose ragazzine che, sedute su una specie di letto in pelle o in altre pose curiose, pronunciano due frasi per annunciare la trasmissione, quanto le paghiamo? E quelle che, tra uno stacco pubblicitario e l'altro, si alzano sensualmente da una sedia, ti indicano maliziosamente col dito puntato prima del logo della rete, a noi, quanto ci costano?
Non so perchè, mi dà l'idea di un mondo sordido, di gente inutile che campa sulle raccomandazioni, di personaggi squallidi che gravitano in un universo parallelo, ingovernabile e, per noi comuni mortali, incomprensibile.

E voi, che ne pensate?

giovedì 21 maggio 2009

Marmellata di pere al profumo di limone



In questi giorni, finalmente, andare al mercato è come immergersi in un tripudio di colori: ormai le fragole sono diventate quasi un'abitudine, grosse e succose, anche se spesso un po' insipide: ho mangiato recentemente delle fragole piccole, non di serra, che avevano il vero sapore della fragola, proprio tutta un'altra cosa.
Però è anche vero che hanno prezzi da gioielleria, per cui alla fine ci si accontenta di quelle fragolone meno saporite, pur di mangiarne tante. Io uso spesso un'abbinamento che mi impazzire, la macedonia di fragole e banane, condita con tanto limone. E' un'abbinamento ottimo, ovviamente senza limone, con lo yogurt bianco: legano a meraviglia anzi, come si dice a Roma, è la morte loro.

Ho comprato le prime ciliegie, anch'esse un po' anemiche e palliducce, dal sapore ancora incerto, ma per quelle c'è tempo, aspettiamo quelle grosse, scure e dolcissime, che verranno tra breve.

Mentre si aspetta la frutta estiva, molto più invitante e colorata di quella invernale, ho provato una marmellata che non avevo mai fatto prima, quella di pere. Non è una marmellata molto comune, così come quella di mele, e a torto, perchè le pere si prestano benissimo a quest'uso.
Non le grosse Kaiser, dalla buccia rugginosa, la polpa bianca e un po' asprigna, e neanche le Abate, grosse e sode, la polpa granulosa e non particolarmente dolce.

Io adoro invece le Williams, dalla buccia rossa o gialla, la polpa morbida e dolcissima: le ho fatte anche cotte nel vino rosso e limone ed erano ottime, ed ora ho provato a farne la marmellata , visto che occhieggiano invitanti e abbondanti sui banchi del mercato. Mi piacciono tantissimo anche quelle piccole e verdognole, che sembrerebbero aspre ed invece non lo sono, ma per quelle bisognerà aspettare la fine dell'estate.





Il risultato è stato ottimo, una marmellata dolce, profumatissima, veramente buona.

Per far restringere la marmellata ho aggiunto una mela, che contiene pectina: ho letto su svariati blog il metodo per ottenere la pectina casalinga, prima o poi mi cimenterò, per ora mi sono accontentata di aggiungere la polpa di mela. Vi riporto il mio metodo, ormai supersperimentato, per la sterilizzazione dei vasetti.

Per un chilo di marmellata (due vasetti da 500 grammi più qualche cucchiaio di avanzo)

1,500 chilogrammi di pere e una mela, al netto (già sbucciati)
750 grammi di zucchero
il succo di un grosso limone
tre cucchiai di liquore

Sbucciare le pere e farle a pezzi, metterle nella casseruola con zucchero, limone e liquore.

Nel frattempo immergere per dieci minuti i vasetti puliti nell'acqua bollente, prenderli con una pinza (io uso quella per il fritto), scolarli e metterli ad asciugare su uno strofinaccio pulito. Sterilizzare allo stesso modo i coperchi e l'imbuto che servirà a travasare la marmellata ( io ho investito su uno splendido imbuto per conserve, in acciaio a due imbocchi, costa 10 euro, ma ne vale la pena).

Far cuocere la marmellata per circa due ore, frullandola col frullatore ad immersione, ma solo brevemente e verso la fine, in modo da disintegrare i pezzi ma non farla troppo liquida.

Quando ha raggiunto la consistenza desiderata (prova piattino ghiacciato), invasarla, chiudere bene i coperchi, rovesciare i vasetti per circa 15 minuti.

Rigirare i vasetti e far raffreddare. Controllare sempre che la capsula sia perfettamente chiusa e sottovuoto.

lunedì 18 maggio 2009

I sapori della tradizione




A me non piacciono di dolci particolarmente carichi, quelli pieni di panna, di burro, di creme...preferisco i dolci semplici, ciambelloni o crostate, biscotti rustici.
Però devo ammetterlo, non mi cimento spesso in ciambelle o biscotti, ma non perchè non mi piacciano, anzi, semplicemente perchè trovo più comodo impastare un ciambellone e metterlo in forno, piuttosto che mettermi a pasticciare sulla spianatoia.

Al paese dei miei nonni, vicino Subiaco, dove ora vivono i miei genitori, hanno una tradizione dolciaria locale molto interessante: sono ricette semplici, che vengono fatte in casa in occasioni particolari, come Natale o Pasqua, oppure per comunioni, matrimoni e cresime.

In questi piccoli paesi, infatti, queste ricorrenze sono ancora occasioni importanti per riunire tutta la famiglia, che non sono i nostri piccoli nuclei familiari di città, ma proprio quelle famiglie di venti o trenta persone, con fratelli, zii, cugini e uno stuolo di bambini di età assortite.

Nonostante abitino tutti nelle vicinanze, hanno l'abitudine di riunirsi spesso, magari a pranzo la domenica, oppure per un picnic; qualsiasi evento coinvolge tutta la famiglia, e le donne di casa si mettono all'opera, sfornando manicaretti di ogni genere.

Quando si tratta di matrimoni, comunioni o cresime, i festeggiamenti non si limitano al giorno stesso, ma cominciano molti giorni prima e continuano per parecchio: la padrona di casa, per almeno un mese, tiene sempre una tavola imbandita piena di ogni bendidio, pronta per gli ospiti che si presentano a portare il regalo. Si offre un caffè, un dolcetto, un biscottino, si ammirano i regali e così via...



Nel caso di un matrimonio, la sera prima c'è la serenata: solitamente viene assoldata un'orchestrina, o un tastierista, un cantante o un chitarrista, insomma, qualcuno che sappia cantare sotto casa della sposa, la quale deve affacciarsi alla finestra e gettare un fiore, per interrompere la serenata.
Dopo i canti, c'è un rinfresco in strada, coinvolgendo praticamente tutto il paese fino a tarda notte, per la gran gioia dei vicini...di solito vengono invitati pure loro, così nessuno pensa a protestare.

La mattina stessa dell'evento, un'altra tavola imbandita aspetta gli ospiti, prima di andare in chiesa: si prende il caffè, si mangia qualche biscotto, e poi si va alla cerimonia.

Inutile dire che, finito il pranzo, si ritorna tutti a casa, magari per finire la serata in allegria, continuando a mangiucchiare fino a tardi. Insomma, bisogna avere un fisico veramente allenato, per resistere a queste maratone culinarie!

In conclusione, i festeggiamenti nei paesi sono una cosa seria, una specie di rituale a cui è difficile sfuggire: ringrazio il cielo di abitare in città così, quando mi sono sposata, ho fatto una cosa semplicissima di poche ore, graziando me stessa e anche i miei pochi invitati.

:-)



I dolcetti secchi che vengono fatti in queste ricorrenze sono piuttosto rustici: ciambelline all'anice o al vino, tozzetti, biscotti con le noci, dei biscottoni lunghi con lo zucchero sopra -fantastici da pucciare nel caffellatte della colazione - mostaccioli al miele, biscotti di tutte le forme decorati con granella di zucchero e confettini...oltre che fatti in casa, si possono trovare anche nel vapoforno del paese, una panetteria artigianale molto affascinante, di cui ho già avuto modo di parlare.

Non era infrequente, fino a qualche anno orsono, incontrare pel Borgo anziane signore vestite di nero, con enormi teglie piene di biscotti da cuocere, portate in bilico sulla testa: le portavano appunto al vapoforno, per cuocerle nel grosso forno, in cui cuocevano anche enormi ciambelloni, crostate e ciambelle, tutti in bella mostra su scaffali e mensole.
Il vapoforno è stato completamente ristrutturato, purtroppo, negli ultimi anni - prima era un laboratorio più casareccio, con forno a vista e banconi di marmo - non so se l'abitudine di portare a cuocere torte e biscotti sia ancora in auge...se non è così, peccato.







Ispirandomi alle ciambelline del luogo, di cui non ho la ricetta (ma cercherò di procurarmela), ho cercato in rete una ricetta analoga, ed ho trovato questa di Rocco: l'impasto è semplicissimo, senza neanche le uova e burro. Ho aggiunto giusto un cucchiaino di lievito e due di vinsanto, ma la ricetta è quella, con gli ingredienti pesati.
Veramente ero indecisa tra parecchie, tutte interessanti, che però ho messo da parte per sperimentarle prossimamente.

Per ora, ecco qua:

Ciambelline al vino bianco

per 28 ciambelline di medie dimensioni

Tempi di cottura: in forno sul Terzo ripiano dal basso, 180 gradi per 25 minuti, forno già caldo+2 minuti grill elettrico

500 grammi farina 00 più a raccogliere
150 grammi zucchero+ quello per la guarnizione
1 bicchiere vino bianco (140 ml)
1 bicchiere di olio di semi di mais (140 ml)
2 cucchiai di vinsanto
1 bustina di vanillina
1 cucchiaino di lievito

Foderate due teglie da forno (io ho usato le leccarde per la pizza) con carta forno e mettere dello zucchero in un piattino

Mescolare olio e vino, quindi aggiungere lo zucchero e il vinsanto.

Con la forchetta cominciare ad aggiungere la farina mescolata al lievito e alla vanillina, fino a formare un impasto molliccio e umido.

Buttare l'impasto sulla spianatoia, aggiungendo farina a raccogliere, se dovesse risultare troppo appiccicoso.

Formare dei salsicciotti delle dimensioni di un pollice e lunghi circa dieci centrimetri (dipende da quanto le volete grandi, le mie sono venute di dimensioni medie, se volete delle ciambelline più piccole, diminuite le misure).

Passate un lato del salsicciotto nello zucchero semolato, poi chiudete la ciambella sulla teglia.

Mettetele distanziate perchè ricrescono.

Infornate in forno già caldo per circa 25 minuti, controllando che non vengano troppo colorite sotto, quindi accendete un paio di minuti il grill elettrico per colorarle anche sopra.
Si possono conservare per parecchi giorni in una scatola di latta.

sabato 16 maggio 2009

Rosa di rose

Non credo ci sia bisogno di tanti commenti...
Domani, domenica 17 maggio, apertura ufficiale dello splendido Roseto Comunale di Roma!


giovedì 14 maggio 2009

Un'isola e tanti misteri



Sottotitolo: come rovinare un giallo strepitoso

Credo di aver ripetuto fino alla noia che detesto la tv, tranne qualche rarissima eccezione: preferisco vedere pochi programmi ma ben scelti, altrimenti resta spenta per giorni e giorni, senza rimpianto alcuno.

Non sono assolutamente una di quelle persone che la tengono costantemente accesa, come sottofondo, anzi: il rumore mi dà fastidio, le liti stupide e tutta quella gente che strepita mi ferisce le orecchie, i reality mi fanno schifo e quelle trasmissioni stucchevoli del sabato sera, quella dove si ritrovano amici e parenti mi fanno vomitare, per non parlare dei tronisti, veline etc etc…che manderei tutti in un campo di rieducazione in Siberia, con un biglietto di sola andata.

Però, poi, ci sono delle cose che adoro, e che rivedo fino allo sfinimento, luoghi e personaggi che sono entrati prepotenti nel mio immaginario: tipo la Sicilia solare di Montalbano, oppure la Ferrara brumosa di Nebbie e delitti, la Puglia fiorita di Mastrangelo, la Roma oscura di Romanzo criminale e così via…sono delle serie ben scritte, ben girate e con fior di attori, che non hanno nulla da invidiare alle ben più quotate serie americane, e neanche al cinema.

Una delle serie straniere che ho adorato è Dolmen: un giallo francese in 6 puntate, ambientato in una delle isole più belle della Bretagna, Belle Ile-en-mer.








Nella trama c’è tutto e di più, per intrigare il pubblico: è ambientata in posti splendidi, tra le brulle scogliere di questa isoletta sperduta nell’Atlantico, tra i fari e i cerchi megalitici dell’isola, l’abbazia con il misterioso monaco che si aggira tra le rovine, a cui si mescolano le leggende celtiche, la storia maledetta degli Affondatori, un fantasma che appare e scompare e fenomeni paranormali che gettano ombre inquietanti sul mistero dei megaliti che sanguinano e sui rituali macabri che accompagnano gli assassinii.

La vicenda si snoda complicata ma incalzante, svelando man mano i segreti e gli intrighi di una piccola comunità, e gli omicidi si susseguono a ritmo vertiginoso, tanto che alla fine la serie termina per mancanza di attori, visto che sono morti quasi tutti. Ovviamente la seconda serie la dovranno ambientare altrove, dato che sull’isola non c’è rimasto quasi nessuno!

E poi c’è la bella commissaria (un po’ piaciona, in verità), indecisa fin dall’inizio tra il suo biondo marinaio bretone, che nasconde oscuri segreti nel suo passato, e il commissario parigino, bruno e affascinante…il che aggiunge un tocco di passione, anche se alla fine l’esito è abbastanza scontato, il commissario venuto dalla capitale stravince alla grande.

Insomma, una bella serie, forse una trama un po’ complicata e farraginosa, magari qualche omicidio se lo potevano anche risparmiare, e magari pure qualche inquadratura di troppo alla bella e procace commissaria, però sono peccati veniali, nel complesso la trama regge e i personaggi pure. Le ambientazioni poi mi fanno impazzire, soprattutto gli interni delle case, le cucine con le piastrelle bianche e turchesi, le pentole di rame e i mobili bretoni, e poi le stradicciole del porto dell’isola, con le facciate colorate e gli infissi azzurri, sullo sfondo del mare nordico e il rumore dei gabbiani.







Ecco, l’altra sera è andata in onda la prima puntata del Format basato sulla serie francese, L'Isola dei segreti, che sulla carta prometteva davvero bene: hanno trasportato tutta la vicenda nella nostra bella Sicilia, tra Trapani e Favignana, che nulla hanno da invidiare alla bellezza delle coste bretoni, tranne forse una certa atmosfera nordica e tenebrosa, irriproducibile altrove.

La regia è di Ricky Tognazzi, la sceneggiatura della moglie Simona Izzo, il che farebbe supporre un ottimo lavoro: in fondo il format valido c’è già, l’ambientazione promette di dare un tocco di solarità alla oscura vicenda, alcuni attori sembrerebbero validi, insomma…

La verità è che, almeno dalla prima puntata, la serie appare scritta male, recitata male e doppiata peggio, gli attori scialbi e fuori parte , per non parlare della protagonista, il cui criterio di scelta deve essere stato il bel visetto, perché per il resto non vedo altre qualità, visto che la recitazione non è il suo forte, e come poliziotta mi pare poco credibile, instabile psicologicamente, sembra addirittura isterica, se nella realtà fossero così, staremmo messi proprio male …

Insomma, ci si sono impegnati davvero moltissimo, nel rovinare trama, personaggi e atmosfere…Gli autori dicono di essersi ispirati a sceneggiati storici che mescolano giallo e soprannaturale, come Il Segno del Comando, ma forse dovrebbero andarseli a rivedere, visto che siamo lontani, ma di tanto proprio.

Ma ci voleva tanto a rispettare il format originale, a fare un casting decente (ma chi li ha fatti i provini?), a buttar giù una traduzione della sceneggiatura francese che non la banalizzasse (voglio dire, potevano semplicemente tradurla), a filmare il tutto in presa diretta, senza dover assistere al doppiaggio fuori sincrono, e a pretendere un minimo di partecipazione emotiva dagli attori?

Eppure, serie come Romanzo Criminale hanno dimostrato che si può fare un ottimo prodotto anche con attori sconosciuti e con una sceneggiatura già utilizzata dal film, ma era proprio tanto difficile fare qualcosa di meglio?

martedì 12 maggio 2009

Girasole al mais e ricotta



Ormai questo stampo mi ha veramente conquistato, è talmente solare e allegro (e come potrebbe essere altrimenti, visto che è un girasole) che sto usando solo quello...certo le torte così sembrano tutte uguali, ma ovviamente non è così.

Negli ultimi tempi, in realtà, non sto cucinando più, avevo in programma un sacco di cose che ho visto nei vari blog, sopratutto lievitati e frolle, che faccio più di rado, ed invece non mi va per niente di mettere le mani in pasta..

Come ho già detto in altri post, con questa bella primavera (primavera? sembra già estate...signora mia, non ci sono più le mezze stagioni, ma dove andremo a finire?) è bello andare a passeggio, magari concedersi un bel gelato sotto un sole caldo ma non bollente come quello di luglio, altro che stare attaccata al pc oppure davanti ai fornelli!



Negli altri giorni, invece, mi tocca lavorare, però va beh, mi pare un male comune...


Comunque, questo particolare impasto prevede l'ultilizzo della farina di mais e della ricotta: io, invero, ho utilizzato quella a grana grossa, tipo polenta, veramente ci andrebbe quella fumetto, a grana fine. Però ne avevo un pacco aperto, e allora ne ho approfittato.


Con la mia farina è venuta una consistenza granulosa, tipo sabbiolina, assolutamente non male, però secondo me, se avete quella fine, rimane più leggera. In questo caso, per una colazione deluxe, l'ho abbinata a dello yogurt ai frutti di bosco e una coppetta di fragole...ogni tanto viziarsi un po' non fa male, vi pare?


La ricetta è presa dal volume Torte, dell'Enciclopedia della Cucina di Repubblica.


Se vi pare troppo pesante un impasto solo a base di farina di mais (tende ad essere abbastanza consistente), mescolate metà farina bianca e metà gialla.


4oo grammi di ricotta

250 grammi di fumetto di mais

2 uova

1 cucchiaio di farina bianca

120 grammi di burro

120 grammi di zucchero

1 dl di latte

1 bustina di lievito per dolci

50 grammi di uvetta

50 grammi di pinoli


Fate ammorbidire l'uvetta, quindi strizzatela bene.

Montate tuorli e zucchero, con la frusta elettrica, quindi incorporate il burro ammorbidito.

Continuate a montare l'impasto unendo la ricotta ben scolata, il latte, la farina mescolata al lievito, la farina bianca

Unite gli albumi montati a neve, quindi l'uvetta e i pinoli.

Versate in una tortiera da 26 centimetri (in questo caso non c'è misura), e fate cuocere per circa 50 minuti a 150 gradi, forno già caldo, sul secondo ripiano dal basso.

Sformate la torta e spolveratela con zucchero a velo.

sabato 9 maggio 2009

Il tempo dei carciofi



Ed eccoci tornati alle ricette anche se, come ho già accennato poco fa, ultimamente in cucina sono piuttosto latitante...ho addirittura smesso di fare dolci, per colazione mi accontento di pane o fette biscottate con quella poca marmellata fatta in casa che ancora rimane dall'estate scorsa (pensavo di averne fatta una scorta consistente ma ce la siamo sbafata tutta, e parecchi barattoli li ho anche regalati, per farla assaggiare ad amici e parenti).

Avevo in programma di fare un po' di marmellate di agrumi, prima che finiscano, solo che i prezzi di quelli biologici mi hanno un po' frenato...è vero che tra prodotto commerciale e fatto in casa non c'è paragone, però è anche vero che, mentre quella fatta in casa con frutta normale è conveniente anche dal punto di vista economico, per gli agrumi bisogna utilizzare solo frutta biologica, visto che si utilizzano anche le bucce...

Va be, un po' di tempo per decidermi, ancora ce l'ho, spero che mi riprenda un guizzo di voglia di fare...

Ultimamente sono andata girellando parecchio, ormai l'inverno sembra un brutto ricordo, anzi, oggi fa talmente caldo che sembra giugno.

In questo periodo ho avuto anche delle rimpatriate di vecchie amicizie, grazie a Facebook, vecchie compagne di classe e amiche che non vedevo a tantissimo...strano vedere come siamo cambiate, in maniera profonda (cresciute, maturate e migliorate, per fortuna) e dall'altra invece ritrovarsi come non fossero passati vent'anni, chiacchierando del passato e del presente come non ci fosse stata interruzione, mescolando accadimenti quotidiani e ricordi lontanissimi...
Forse perchè, comunque, le amicizie fatte da adolescenti avevano un'altra valenza, rispetto a quelle fatte alla nostra età: erano più ingenue, ma anche più totali, perchè si cresce insieme e questo, in qualche modo, lega per sempre, anche quando l'amicizia è finita da tempo.

O forse a legarci sono i ricordi, chissà...





Va beh, passiamo ad altro...
E' vero che non mi va di cucinare, non so perchè sento che il fisico ha bisogno di altro, di verdure, yogurt, frutta, cibi più leggeri e depurativi, però un bel piatto di pasta, magari con verdure di stagione, ci sta proprio bene, non trovate?

L'accostamento carciofi, olive e pachino mi è venuto un po' così, con quello che avevo nel frigorifero e perchè mi piaceva l'accostamento dei colori, ed invece mi è piaciuto molto.
Mi piacciono questi sughetti improvvisati, corposi e saporiti, soprattutto abbinati ad una pasta liscia come gli spaghetti...




Ed allora, per due persone:

Qualche pomodoro pachino
due carciofi
una manciata di olive nere
verdure per soffritto
aglio
olio evo
qualche cucchiaio di passata di pomodoro
parmigiano
spaghetti, 100 grammi a persona


Pulire i carciofi delle foglie dure e della punta, raschiare ed accorciare i gambi. Tagliarli a metà, togliere la barbetta e tagliarli a pezzi.

In una padella capiente mettere un velo di olio, buttarci i carciofi e l'aglio, salare e far saltare qualche minuto, quindi aggiungere un goccio d'acqua, chiudere il coperchio e far andare circa 10 minuti.

Nel frattempo lavare bene e tagliare i pomodori e le verdure del soffritto.

Buttare nella padella i pomodori, qualche cucchiaio di passata, le verdure e le olive, coperchiare di nuovo con un altro filo di olio e un pochino di acqua, e far cuocere mescolando ogni tanto, fino a che le verdure siano tenere, e il sugo corposo(io con i carciofi vado ad occhio, perchè si cuociono sempre in tempi diversi, chissà perchè).

Nel frattempo mettere a lessare gli spaghetti, scolarli bene e buttarli nel sugo, aggiungere il parmigiano e mantecare bene. Portare in tavola.

mercoledì 6 maggio 2009

Architettura post-moderna a Roma



In questi giorni, non so perchè, ma non ho voglia di postare ricette, forse perchè non ho voglia di cucinare...sto approfittando di queste belle giornate per andarmene a zonzo, un po' per compere (quando sono stressata comincio a comprare in maniera compulsiva, ma di solito non per me, quanto piuttosto per la casa), altre volte mi piace semplicemente curiosare nelle vetrine, immaginarmi di comprare questo o quello, di cambiare la disposizione dei mobili, cucire le tende nuove, e così via...faccio progetti, liste, abbinamenti, che poi spesso non mantengo, oppure li cambio nel frattempo, sull'onda del momento.


Il fatto di avere un blog che tratta prevalentemente di cucina comincia a starmi un po' stretto...o forse un blog di cucina non lo è mai stato, visto che ho sempre parlato di tutto un po'...comunque si hanno delle fasi in tutte le cose, e forse la primavera è il periodo giusto per uscire e parlare d'altro, del mondo che c'è fuori, piuttosto che starsene rintanati in casa a spadellare. Ho avuto tutto l'inverno per stare tappata a casa, forse è meglio così...

In ogni caso, era un po' che avevo in mente di scendere fino al quartiere Prati (che è adiacente al mio) per andare a vedere il nuovo mercato Trionfale, inaugurato da poco. Questo mercato rionale ha avuto, a dir poco, una vita travagliata.

Parecchi anni fa era piuttosto fatiscente, un po' rimediato: i primi lavori l'hanno sistemato in un'area al'inizio di via Andrea Doria, una serie di banchi coperti, delimitati da una cinta di cemento...niente di che, ma comodo, per gli abitanti del quartiere.

Qualche strada più in là, si trova anche il Mercato dei Fiori: di solito è riservato ai commercianti, ma il martedì mattina è aperto al pubblico, dalle nove e trenta in poi: ci si fanno buoni affari, soprattutto per chi compra grandi quantità di piante. Io ogni tanto ci vado, anche se le piante da comprare non sono mai molte, visto che ho solo le cassette sui davanzali...tante volte ci vado solo per cercare una pianta particolare, magari un'aromatica che non riesco a trovare al mio mercato, oppure l'erba gatta.




Uno si aspetterebbe un posto veramente bello, tipo quello di Parigi sull'ile de la Citè (che però non è all'ingrosso): invece è un seminterrato buio, in cui le luci al neon danno anche una sfumatura fredda e innaturale ai colori intensi delle corolle e delle foglie...appena si entra si coglie un odore di umido, di terra bagnata, un effluvio dolciastro, pungente, che dà quasi alla testa.

Le piante sono ovunque, accatastate per terra, sulle scaffalature metalliche, appese al soffitto. Piante da interno, da esterno, rampicanti, rose, enormi rodoendri dalle corolle corpose, felci e bouganville dai colori più incredibili, piante grasse, bonsai, piante aromatiche, lavande, il tutto mescolato in un disordine un po' caotico. Anche qui, sono anni che c'è un progetto di spostarlo in un posto più adatto (anche se sarebbe lontanissimo da qui), però non se ne fa nulla.


Il mercato Trionfale, dicevo. La giunta precedente ha approvato un ambizioso progetto di riqualificazione del mercato, la cui ricostruzione è durata qualche anno: i banchi sono stati risistemati alla meglio ad ingombrare i marciapiedi della via, ed è cominciata l'attuazione del progetto, che sembrava non finisse mai.

Mi è capitato di vedere una fotografia su un giornale, ripresa dall'alto, ed era impressionante: sembrava un immenso cratere, prodotto dall'impatto con un meteorite, oppure con una bomba: un buco enorme, in mezzo ai palazzi ottocenteschi, una voragine profonda che ha provocato anche problemi di statica ai vecchi palazzi intorno.

Il quartiere Prati ha, infatti, un'edilizia prevalentemente fine ottocentesca.

Fino all'Ottocento veniva chiamato Prati di Castello, perchè non era edificato, ma un luogo ancora verde, sotto castel Sant'Angelo, spesso meta di gite domenicali. Nei quadri di Roesler Franz si può cogliere questo carattere bucolico, di cui oggigiorno si è persa ogni traccia, tranne per i residui giardini sotto il castello.

L'urbanizzazione massiccia della seconda metà dell'ottocento non ha risparmiato questa zona, ma ne è venuto fuori un quartiere elegante, con belle palazzine, strade ordinate, negozi costosi e ben curati, un quartiere animato in cui è piacevole passeggiare.

Anche le poche case popolari proprio negli isolati accanto, dei primi decenni del Novecento, con alcuni esempi addirittura di art deco e altri analoghi, in qualche modo, all'estroso quartiere Coppedè ed ad una certa edilizia popolare della Garbatella, sono comunque apprezzabili, con cortili pieni di verde e condomini non privi di un certo fascino.


In tutto questo, ecco il progetto avveniristico che è stato pensato per questo mercato.

Ora, tutti voi sapete quanto io ami Parigi, e anche le sue sperimentazioni architettoniche: a Parigi è assolutamente normale la convivenza tra palazzi antichi e cose moderne, basti pensare ai lavori sotto il Louvre oppure al modernissimo mercato Les Halles, che ha sostituito quello più antico raccontato da Zola, il Beaubourg, in mezzo al secentesco quartiere del Marais, e così via.
Solo che Roma ha un tessuto urbano più compatto, devastato fino ad un certo punto dalle ristrutturazioni selvagge ( le ultime sono state quelle di Mussolini)...ma non si poteva progettare qualcosa leggermente più in sintonia col resto del quartiere? E lo sta dicendo una che ha avuto la massima stima per l'amministrazione comunale precedente, a mio parere la migliore che Roma abbia mai avuto.

Non è che non mi piaccia l'architettura moderna, vi assicuro che la Defense a Parigi e la futuristica Rotterdam non mi dispiacciono affatto...ma c'era proprio bisogno di un progetto così inutilmente faraonico, per un mercato? Io ci avrei visto una cosa meno vistosa, magari aerea, in metallo ma meno fredda...magari che richiamasse le strutture in ghisa che tanto andavano a fine ottocento, tipo quelle che ancora esistono dentro il Policlinico o nell'ospedale militare del Celio.




E poi, passi per l'esterno...ovviamente, sono entrata dentro al mercato, che si trova al pianterreno: non so perchè, ma mi aspettavo un ambiente curato, accogliente, invece (tranne qualcuno, tipo la panetteria e pochi altri) sono gli stessi banchi un po' squallidi che erano all'esterno, di lamiera, con merce dozzinale, sotto una fredda illuminazione al neon, che la luce proveniente dai lucernari non riesce ad addolcire in nessun modo.

Ho provato ad uscire e a salire sul piazzale soprastante: è vero che i lavori stanno ancora terminando, quindi è possibile che il senso di desolazione che ispira sia destinato a scomparire, però non mi è ben chiaro a cosa serva tutto questo spreco di spazio, al momento assolutamente deserto. Non so, c'è un senso di incompiuto, di inutile che, spero, deriva dal fatto che il progetto non è finito, molte serrande sono ancora abbassate, gli uffici ai piani superiori sembrano vuoti, e ci sono delle parti del fabbricato ancora grezze.


Però il tutto mi ha lasciato piuttosto fredda, e un po' delusa...


L'unica cosa che mi è parsa degna di nota è stato il riflesso delle nuvole che si specchiavano sui vetri...

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