I miei viandanti

venerdì 30 gennaio 2009

I cibi della consolazione: Crocchette di Purè al Forno


Ci sono dei cibi che hanno una funzione consolatoria, una coccola che consola e riscalda, soprattutto nelle fredde sere d'inverno: ognuno ha un proprio piatto del cuore, magari legato a dei ricordi oppure all'infanzia.


Uno dei miei cibi consolatori è la minestrina con le stelline, sì, proprio quelle minestrine col dado, olio e parmigiano che si preparano ai bimbi la sera. D'inverno, magari rientrando da una giornata fredda e faticosa, un bel piatto di minestra fumante riscalda dentro e fuori, e rigorosamente con le stelline, perchè con gli altri tipi di pastina per me non è la stessa cosa, vai a capire perchè.

Un altro dei miei piatti consolatori è il purè, neanche quello fatto con le patate vere, ma proprio quello in fiocchi: con buccia di limone, parmigiano, un tocchetto di burro, magari con una mozzarella accanto o ancora meglio sciolta dentro, saporita e filante, per me è una vera tentazione, so che è strano ma è così!

Col purè ci si possono fare delle deliziose crocchette al forno, sempre per la serie ricicliamo tutto: stavolta ricicliamo magari del purè avanzato e erbette lesse, secondo una ricetta che ho trovato sulla scatola del Purè Knorr e che ho sperimentato con molto successo. Ovviamente si può fare anche con del purè di patate vere, a patto che sia molto denso, sennò è difficile formare le polpette.



per 4 persone

1 busta di purè da 75 grammi

300 cl di latte ( per il purè normale se ne usano 400 cl)

1 uovo

quattro cucchiai di parmigiano

100 grammi di erbette lesse, anche qualcosina di più se volete le crocchette meno patatose ( o bieta, spinaci, piselli...)

cipolla, o aglio

formaggio saporito a julienne o grattugiato (fontina, emmenthal, scamorza...)

pangrattato

olio evo

Fare un purè molto denso con 300 cl di latte, secondo le istruzioni della busta: insaporire con sale, parmigiano.

Mettere la cipolla (o l'aglio, dipende dal tipo di erbe) in padella con un filo di olio e ripassarvi le erbette lesse con il sale, insaporire qualche minuti e sminuzzare bene.

Quando il purè si è un po' raffreddato, unire l'uovo, le erbette ripassate, il formaggio e formare delle crocchette piccole e un po' schiacciate, passarle nel pangrattato. Disporle in una teglia da forno piuttosto grande su un velo di olio oppure su carta forno oliata.

Mettere nel forno caldo, secondo ripiano dal basso, a 220 gradi: dopo 15 minuti voltare tutte le crocchette e lasciarle rosolare dall'altra parte altri 15 minuti.

Servire calde.

Se volete esagerare, mettete un pezzetto di formaggio o di mozzarella in mezzo alla crocchetta, mentre la fate, così verranno filanti, come i supplì.

mercoledì 28 gennaio 2009

Farfalle alla crema di Cavolfiore


Proseguo con la mia sperimentazione di pasta e verdure, anzi, col riciclo di verdure lesse del giorno prima. Ho un rapporto di odio-amore col cavolfiore, devo ammetterlo: li amo perchè sono tondi, bianchi e cicciotti, e con quelle foglioline verde chiaro che fanno venire voglia di sgranocchiarle...solo che lesso mi fa un po' di tristezza, se ne mangia un po' e poi si molla lì, ad immalinconire nel frigorifero..


Questo pezzo di cavolfiore è stato riciclato, per sua fortuna, in una crema auto-inventata a base di latte e ricotta: con la besciamella verrebbe anche meglio, ma per ridurre le calorie e il tempo ho frullato cavolo lesso con latte, ricotta e parmigiano, e poi ho fatto stringere sul fuoco con della passata di pomodoro, tanto per avere un colorino meno smorto...

Ho abbinato questa crema alle farfalle, che prendono bene le salse cremose.

A me è piaciuta (anche se è molto broccolosa), mio marito ha detto che per i suoi gusti era un po' sciapina, a lui piacciono i sapori più forti e ci ha aggiunto una spolverata abbondante di pepe.

Comunque, ecco la ricetta, per due persone:



Per la crema
300 grammi di cavolfiore lesso
Un bicchiere di latte
125 grammi di ricotta
4 cucchiai di passata di pomodoro
4 cucchiai di parmigiano
un tocchetto di burro
sale e pepe

200 grammi di farfalle

Lessare il cavolfiore in abbondante acqua, che poi servirà per lessare la pasta (così si ricicla pure l’acqua).
Scolarlo, pesare 300 grammi di verdura.
Nel frullatore aggiungere al broccolo un bicchiere di latte, la ricotta, e frullare, poi aggiungere parmigiano e passata di pomodoro, salare e frullare di nuovo.

Versare la crema in una padella capiente, tipo salta pasta. Riaccendere a fuoco dolce e far insaporire cinque minuti, aggiustare di sale e pepe e aggiungere un tocchetto di burro, mescolare e quindi tenere in caldo.

Nel frattempo riprendere il bollore dell’acqua, salare e buttare la pasta.

Scolarla al punto giusto di cottura, quindi versarla nella padella con la crema, far mantecare con altro parmigiano e servire subito.

martedì 27 gennaio 2009

Per non dimenticare l'orrore

Per onorare questo giorno, senza inutili retoriche, voglio solo trascrivervi il testo di Pietro Calamandrei, inciso su di una lastra di marmo, nel municipio di Cuneo.
Ho letto questo "testamento" nel bellissimo libro di Corrado Augias, I Segreti di Roma, e le parole mi hanno colpito per il dolore, la dignità e la fierezza che esprimono.
Non so se c'entrano molto con la commemorazione di oggi, però sono talmente belle e pure che voglio riportarvele:

(sono dedicate al Fedelmaresciallo Kesselring, comandante in capo delle truppe tedesche in Italia)

LO AVRAI CAMERATA KESSELRING
IL MONUMENTO CHE PRETENDI DA NOI ITALIANI
MA CON CHE PIETRA SI COSTRUIRA'
A DECIDERLO TOCCA A NOI
NON CON I SASSI AFFUMICATI DEI BORGHI INERMI
STRAZIATI DAL TUO STERMINIO
NON CON LA TERRA DEI CIMITERI
DOVE I NOSTRI COMPAGNI GIOVINETTI
RIPOSANO IN SERENITA'
NON CON LA NEVE INVIOLATA DELLE MONTAGNE
CHE PER DUE INVERNI TI SFIDARONO
NON CON LA PRIMAVERA DI QUESTE VALLI
CHE TI VIDE FUGGIRE
MA SOLTANTO CON IL SILENZIO DEI TORTURATI
PIU' DURO DI UN MACIGNO
SOLTANTO CON LA ROCCIA DI QUESTO PATTO
GIURATO FRA UOMINI LIBERI CHE VOLONTARI SI ADUNARONO
PER DIGNITA' NON PER ODIO
DECISI A RISCATTARE LA VERGOGNA E IL TERRORE DEL MONDO
SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE
AI NOSTRI POSTI CI RITROVERAI
MORTI E VIVI CON LO STESSO IMPEGNO
POPOLO SERRATO ATTORNO AL MONUMENTO
CHE SI CHIAMA ORA E SEMPRE
RESISTENZA.


(Tratto da: Corrado Augias, I segreti di Roma, pag.259-260, Mondadori 2005)



Per non dimenticare mai l'orrore...

lunedì 26 gennaio 2009

La zuppa del bosco


Questo tipo di zuppa è tipicamente nordica , solo che dalle loro parti si gustano anche in estate, come la polenta, mentre con le nostre temperature estive sono confinate ai mesi più freddi. Gli ingredienti di una buona zuppa sono davvero infiniti, e di bello c’è che ci si può mettere qualsiasi cosa, a seconda della fantasia e di quello che si ha nel frigorifero. Per fare questa zuppa ho speso, all’incirca, 2,50 euro tra verza, cipolle, carote, patate e finocchi. Mi pare che ci si guadagni sia in salute che nel portafoglio, il che non è poco.


Tre anni fa andammo in Trentino Alto Adige, una regione che conosciamo molto bene e che adoriamo, avendola visitata ormai parecchie volte. Risiedevamo nel minuscolo paesino di Braies, vicino al lago omonimo, un vero smeraldo liquido incastonato nelle montagne.


Il paesino, tra Dobbiaco e San Candido, si snoda flessuoso in una stretta valle incantata, silenziosa e verdissima, un grappolo di baite immerse nella quiete profonda, dove l’unico rumore che si sente, oltre quello della natura, è quello del ruscello che gli scorre accanto e dei passi sulle foglie del sentiero.

Mi dispiace molto aver perso le fotografie di quello splendido viaggio, abbiamo visto delle cose meravigliose e spero veramente di tornarci molto presto, e recuperare le fotografie perdute.

Alloggiavamo in una pensione deliziosa, il Garnì Taschler, una baita di legno dai terrazzi traboccanti di edera e gerani rossi: il garnì era gestito da una coppia di signori anziani gentilissimi, dal marcato accento tedesco, che si occupavano con cura amorevole sia della casa che del prato e l’orto vicino. Ogni sera, uscendo dalla pensione per andare a mangiare fuori, passavamo davanti alla loro cucina, da cui si spandevano odori misteriosi e vellutati per tutta la casa.

Tutte le sere alle sette erano già seduti a tavola, con una ciotola di zuppa fumante davanti, profumo di cipolle, patate, erbe di montagna, aromatiche e chissà quale altra prelibatezza: un quadretto sereno e quieto, nella luce carezzevole del crepuscolo nordico, e te li immagini in inverno, magari davanti al tepore della stufa, in quella bella baita tutta di legno odoroso di cera, con la valle immersa nella neve, isolata dal resto del mondo, il silenzio che avvolge ogni cosa come polvere.

Noi andavamo a cena in un ristorante a tre case di distanza, ( a malincuore, perchè quella zuppa ci tentava da morire, quante volte abbiamo sperato che ci invitassero ad unirci a loro), d’altra parte non è che ci fosse molta scelta visto che ce n’erano solo due in tutto il paese.
Il nostro era una minuscola locanda tipica, frequentata per lo più da gente del posto e da quei pochi turisti che risiedono a Braies: boiseries in legno scuro, piccoli tavoli e panche sotto le ampie finestre ornate da vezzose tendine; come oste un omone tipicamente tedesco, biondo e grassoccio, gentilissimo: cucina robusta, piatti enormi con abbondanti e saporite porzioni di carne e due o tre contorni di verdure, come si usa da quelle parti, mentre per me c’erano sempre delle enormi e fantastiche omelettes ripiene di formaggio filante e contorno di patatine fritte.

Come dessert, il profumo inebriante e speziato dello strudel appena sfornato, delle fette abbondanti gonfie di mele e pinoli, che traboccavano dalla pasta gonfia e burrosa dell’involucro, spolverata di zucchero a velo profumato di vaniglia.

Delle vacanze si ricordano i posti visti, le bellezze della natura, le passeggiate ad alta quota e i picnic in cima alle montagne, ma anche le atmosfere, le case, le bontà mangiate, le sensazioni ed anche i profumi, anzi, soprattutto i profumi.

Quella vacanza ha per me l’odore umido del bosco, la fragranza speziata dello strudel, e quello delle zuppe dei gentilissimi signori Taschler di cui, ancora oggi, mi chiedo quali fossero i misteriosi ingredienti.

Non conoscerò mai le ricette della signora Taschler, però ci provo lo stesso, e allora:


Zuppa del Bosco


Per quattro persone

Un quarto di verza
Due carote grosse
1 cipolla grande,
1 finocchio grande
2 patate di medie dimensioni
Due litri di acqua
Due cucchiai di passata
Mezzo dado
Olio, sale, pepe
Tagliare a striscioline la verza e la cipolla, a tocchetti le carote, le patate e il finocchio.
Mettere il tutto in una pentola piuttosto capace, coprire con l'acqua, stemperare il dado e la passata di pomodoro, aggiungere olio, sale e pepe.
Coprire e cuocere per circa un’ora e un quarto, un'ora e mezza, fino a che è diventata bella densa.
Servire calda, magari con una bella spruzzata di parmigiano e crostini abbrustoliti.

venerdì 23 gennaio 2009

Au nome de la Rose, ovvero les fleurs de Paris


Che io sia assolutamente, perdutamente innamorata della Francia ormai dovrebbe essere chiaro a tutti, e di Parigi in particolare. Credo che essere immersi nella bellezza renda felici, in ogni caso, mentre essere immersi nella bruttezza, nel grigio cemento e nella sciatteria rende irrimediabilmente, visceralmente tristi, almeno questo è l’effetto che fa a me.


Di questa città amo tutto: mi piace passeggiare nelle sue strade animate e vivaci ma non chiassose, mi piacciono i suoi palazzi eleganti con le finestre di legno bianco e le ringhiere in ferro battuto; le sue Boulangeries, il cui conturbante odore di farina,burro e lievito già alle otto di mattina si spande per tutta la strada, con le scaffalature di legno e i cestini traboccanti di croissant, pains au chocolat, croissants aux amandes e file di baguettes croccanti, ripiene di ogni delizia, che ti invitano maliziose all'assaggio.
I suoi bistrots coi tavolini di fuori e le lavagne con il menu scritto col gesso, le brasseries dai lunghi banconi e le insegne stravaganti, i Caffè dove ti puoi sedere al sole e goderti il passaggio della gente mentre sorseggi un cappuccino (d'accordo, quello non lo sanno proprio fare, per non parlare del caffè, ma non si può avere tutto dalla vita).


Mi piacciono le ragazze, coi loro vestiti eccentrici, un po’ retrò: sono tutte eleganti, graziose e deliziosamente antiquate (quando vedete per le strade di Parigi delle ragazze sciatte, coi rotoli di ciccia fuori dai pantaloni, mutande in vista e capelli stirati, potete star sicuri che sono italiane, non certo francesi).

Adoro quei minuscoli giardini colmi di fiori, con le panchine piene di mamme o ragazzi che leggono e pranzano, godendosi il sole della primavera. Mi piace passeggiare nei parchi e i grandi giardini, il Luxembourg, le Tuileries, il Parc Royal, tutti presi d’assalto da una folla variopinta e festosa, le panchine sotto le fontane, le aiuole colorate, i lunghi viali alberati.


Amo le sue piazze eccentriche, Beaubourg, la Defense, lo strano mescolamento di antico e modernissimo, i suoi cimiteri suggestivi, Montmartre e le sue stradine fuori dal tempo, e passeggiare sotto i platani del Canale Saint Martin in un pomeriggio di primavera.


In tutta questa bellezza, anche i negozi fanno la loro bella figura. Io abito a Roma, mica nell’ultimo paese di provincia, ma vi assicuro che negozi belli ed eleganti come quelli parigini ce ne sono pochi, e non solo per quanto riguarda la merce, ma anche per l’arredamento, le vetrine, le insegne, le porte in legno.


I fiorai sono numerosi, e tutti bellissimi, dentro e fuori.
Questo negozio si chiama Au nome de la Rose, qui siamo tra il Quartiere Latino e Saint Germain, ma ce ne sono in diversi quartieri, vende solo rose, di tutti i tipi, colori, in tutte le composizioni immaginabili, una vera festa per gli occhi.

Davanti ad ogni Au Nome de la Rose c’è un tappeto di petali colorati.


Queste vetrine di legno verde appartengono ad Oliviers & Co.( in Rue de Buci), una catena di negozi che vende qualsiasi cosa abbia attinenza con le olive: dalle piante di ulivo agli olii aromatizzati, oliere, saponi, ceramiche e porcellane, biscotti e salse di tutti i tipi.


Qui siamo nelle stradicciole secentesche del Marais, il mio quartiere preferito, e questa è La Belle Hortense, dalle vetrine dipinte di uno sgargiante azzurro, in Rue Vieille du Temple. Si tratta di un Caffè letterario, cioè un posto dove ci sono i libri, si prende un caffè, si gusta un bicchiere di buon vino (è anche enoteca).

Nell’ebraica Rue de Rosiers ci sono negozi tipici con cucina Kosher e, curiosamente, due negozi con i migliori felafel di tutta la città, una pita calda e morbida piena di queste polpettine speziate e traboccante di verdure, una goduria che non potete mancare, se passate da queste parti.

Questa è la dimostrazione che anche un semplice giornalaio può essere un’opera d’arte.


Ora siamo nella la piccola e splendida Rue de Fustenberg (un'altra volta sulla Rive Gauche), dove c’è il famoso Flamant, uno dei negozi interior designs e arredamento più raffinati che abbia mai visto. Vasi, candele, piante verdi, cache-pot, mobili, tessuti, cesti, e porcellane candide. All’interno del negozio, tutto arredato in legno, c’è addirittura un tetto di legno a capriate, tipo baita di montagna.


E che dire dei negozi di antiquariato? A Parigi ce ne sono tantissimi, antiquariato, rigattieri, bric-a-bràc, brocanteurs o semplici robivecchi: queste vetrine si affacciano sulla galleria del secentesco Parc Royal, quale posto migliore per ammirare preziose porcellane antiche?


E, per finire, una scoperta preziosa, a spasso per il Marais. In Rue Rambuteau c’è Menkes, un negozio di articoli da flamenco direttamente dall’Andalusia: scarpe di tutti i colori, file di gonne gonfie di volants fruscianti, a pois, a fiori, vestiti da festa, rose di seta, scialli, ventagli, insomma, tutto per diventare una vera gitana.


E poi, vicino, al 41 Rue du Temple, infilatevi nel piccolo cortile selciato del Cafè de la Gare, accostatevi a questa porta, ed ascoltate in silenzio.



I tacchi che battono il ritmo sul tablao di legno, le note fluide e sensuali di un tango gitano arpeggiato alla chitarra, le figure flessuose e colorate delle ballerine riflesse negli specchi…eh sì, una lezione di flamenco nel bel mezzo di Parigi!



giovedì 22 gennaio 2009

I have a dream...o no?

In questi giorni la grande novità commentata più o meno da tutti è stata, ovviamente , l’elezione di Barack Obama.

La visione di quella folla oceanica che si emoziona per le parole di quell’ uomo giovane, uno che ha il coraggio di parlare a due milioni di persone e al mondo intero di “duro lavoro e onestà, coraggio e correttezza, tolleranza e curiosità, lealtà e patriottismo” credo che sia una cosa impensabile da noi. La maggior parte degli italiani solo alla prima frase duro lavoro e onestà già inorridisce, oppure ridacchia pensando che siano cose da fessi.

Non so che tipo di gente voi frequentiate normalmente, ma è ovvio che di solito si è costretti ad uscire dalla cerchia delle persone che si è scelti, con cui più o meno si condividono opinioni e ideali, e confrontarsi con persone che la pensano in maniera diversa oppure, nella maggior parte dei casi, non pensano affatto, accogliendo in maniera passiva e acritica quello che gli viene propinato nei tiggì e in generale dalla televisione, uno dei mezzi di circonvenzione più subdoli che abbiano mai inventato.

Anche su quest’elezione purtroppo, come in altre occasioni, ho sentito in giro una serie di commenti superficiali tipo: “Ce l’hanno messo apposta perché tanto lo fanno fuori,” “Non durerà molto” oppure: "Ammazza quant’è brutta la moglie, assomiglia a Mike Tyson" (il fatto che abbia due lauree e sia un avvocato di successo è assolutamente ininfluente, ovvio), e così via.

Non so che tipo di giornali leggano questi individui (se li leggono, ovviamente), ma mi pare che la profondità delle conversazioni e delle argomentazioni sia del livello di quei giornaletti che regalano all’uscita delle metropolitane, quelli con la pubblicità che invade l’80 per cento della pagina e relega le notizie a poche righe scarne, direttamente prese dalle agenzie, senza uno straccio di commento, di partecipazione, di analisi critica.

Avrete notato sicuramente che la mattina la maggior parte di persone sull’autobus o sulla Metro ha in mano, quando va bene, questi micro giornali e nel peggiore dei casi quei fogli rosa assolutamente inutili e noiosissimi che parlano solo di calcio. Così come il primo argomento che viene trattato, appena si arriva sul posto di lavoro, è l’ultima partita della Roma, come fosse l’unico argomento importante, irrinunciabile, e quando fai presente che non te ne potrebbe importare di meno perché tu il calcio lo detesti in maniera viscerale e manderesti tutti i tifosi dritti filati in un campo di rieducazione in Siberia, ti guardano come fossi una marziana, un tipo un po’ eccentrico che vive in un mondo tutto suo, il che probabilmente è pure vero.

La differenza tra noi e l’America credo che sia proprio questa: loro hanno comunque l’entusiasmo di una nazione giovane, che riesce a voltare pagina col passato, rimboccarsi le maniche e sognare un futuro migliore, e a sentirsi migliore. Emozionarsi per delle parole, per un’idea, avere anche l’ingenuità di crederci, è qualcosa che abbiamo dimenticato da un bel pezzo, purtroppo. Credo che l’ultima generazione che l’abbia fatto sia quella del '68, e anche lì non è che sia andata benissimo.

A sentire le nostre conversazioni pare proprio che il nostro sia un paese stanco, cinico, che non riesce più a sognare, ad entusiasmarsi di nulla, e neanche a vedersi migliore. La percezione di una società violenta, gretta, chiusa in sé stessa e profondamente egoista non l’ho mai sentita forte come adesso, forse perché in Italia è proprio nei momenti peggiori che escono fuori i nostri lati peggiori. Così, invece di rimboccarci le maniche e lavorare per un obiettivo comune, ci arrocchiamo ognuno nel proprio fortino, buttando la spazzatura nel giardino del vicino (e non solo metaforicamente) e divagando in conversazioni oziose magari sulla misura di reggiseno di quella del Grande Fratello ( e qui potrei aprire un’altra grande parentesi ma ve la risparmio, perché già avete capito cosa ne penso).

Tante volte ascolto le persone attorno a me, e rifletto sul fatto che la maggior parte di quello che dicono è un festival di luoghi comuni, di idee raggranellate qua e là, che vanno dal “ tanto è tutto inutile” ,“tanto destra e sinistra sono tutti uguali “(ogni tanto verrebbe voglia di pensarlo anche a me, poi mi dico che no, non è vero che sono tutti uguali, e per fortuna) a commenti superficiali su argomenti invece importanti, che meriterebbero ben altri approfondimenti, altre riflessioni; come quando si parla dei temi di questi giorni (vedi Eluana Englaro) o anche più generali, di dio, del razzismo, dell’eutanasia, dei gay e così via, e senti delle cose che ti fanno aggricciare la pelle, e ogni tanto ci provi a portare la conversazione su un tono un po’ meno superficiale, a rischio di sembrare saputa e barbosa, a far capire che non si possono liquidare delle questioni così difficili e complesse con un giudizio sbrigativo buttato lì così, in poche parole.

Poi alla fine decidi che è inutile, che stanno bene come stanno, che chi ha voglia di approfondire certi argomenti lo fa già perché ne sente l’esigenza, e chi non lo fa è perché non gliene può fregare di meno, e tanto peggio per lui.

E allora, alla fine, chi è più stanco e cinico dei due?

martedì 20 gennaio 2009

Variazioni broccolesche



Broccoli, cavolfiori, broccoletti, cime di rapa, friarelli, sono tutte verdure invernali, e si prestano a moltissimi usi, ma per lo più vengono lessati e poi ripassati in padella con olio, aglio e peperoncino, magari con delle belle salsicce croccanti e saporite.

Se ne possono trovare, anche in questo caso, numerosi usi meno scontati, soprattutto quando si compra un grande broccolo romanesco e una volta lessato è troppo da mangiare tutto in una volta, ed il giorno dopo, quando si tira fuori dal frigorifero, ha un'aria malinconica, un po' appassita.

Allora, ecco due gustose ricette per riciclare un broccolo romanesco già lesso:


Sedani al broccolo

In questo caso la ricetta è semplicissima. Ho provato svariati tipi di pasta, ma la migliore è il sedano o il sedanino rigato, che prende bene il condimento.

Un broccolo romanesco
olio evo, aglio, peperoncino in polvere
80 grammi di sedani a persona
sale grosso
parmigiano

Lessare il broccolo tagliato a cimette, togliendo la parte troppo dura e il torsolo.
Una volta lessate le cimette, scolarle e buttarne una parte (calcolate un 3-400 grammi circa, io faccio ad occhio, mi piace ci sia più verdure che pasta) in un'ampia padella antiaderente (deve contenere la pasta) con olio, sale, aglio, e un pizzico di peperoncino.
Saltare la verdura fino a quando non si è ben insaporita e quasi sfatta, e tenere al caldo.

Nel frattempo, lessare la pasta in acqua salata, scolarla e buttarla nella padella con le verdure calde. Far mantecare la pasta a fuoco vivace con parmigiano, mescolandola bene, e servire subito.


Vellutata di broccolo



E' una minestra densa, arricchita da una mistura di uovo, latte e parmigiano oppure, se si vuole ancora più nutriente, con la stessa quantità di panna da cucina.

650 grammi di broccoli lessi
2 cucchiai di passata
1 cucchiaio scarso di farina
600 ml di brodo vegetale (mezzo dado)
1 cipolla bionda
una carota
Un uovo
Latte, 150 ml
parmigiano

Tagliare la cipolla (oppure due piccoli scalogni) a fettine sottili, metterla in una casseruola con un fondo di olio, e farla appassire per cinque minuti, assieme a due cucchiai di acqua.

Aggiungere la farina e mescolare bene per un minuto.

Aggiungere il broccolo lesso tagliato a pezzi ( meno qualche pezzetto da lasciare come decorazione) e la carota a tocchetti, aggiungere il brodo caldo, il pomodoro e far cuocere circa 20 minuti.

Frullare la minestra con il frullatore ad immersione, quindi salare (con moderazione) e pepare, rimettere sul fuoco e far stringere ancora cinque minuti.

Nel frattempo battere l'uovo col latte e il parmigiano.

Togliere la minestra dal fuoco, incorporare la mistura, decorare con le rosette di broccolo, un giro di olio a crudo e servire calda.




domenica 18 gennaio 2009

Il tempo delle Cipolle


Sì, lo so, l’originale sarebbe il Tempo delle Mele, film mito per chi, come me, aveva 14 o 15 anni all’epoca ( e uno dei film che amo di più in assoluto per ragioni sentimentali), ma visto che siamo in inverno e visto che mi è presa la fissa per le zuppe nordiche, per me è il Tempo delle Cipolle (anche perchè quello delle Mele è passato da quel dì).



Siamo abituati a considerare le cipolle un ingrediente povero, non per niente rimane il detto “mangiare pane e cipolle”, per dire che era l’unico companatico per chi non poteva permettersene altri. Furono invece un alimento importantissimo dall’antichità in poi, ed usate anche in farmacologia come rimedio a numerosi mali, antiinfiammatorio, antisettico, diuretico e cicatrizzante, un alimento ricco inoltre di sali minerali, sodio, potassio, calcio e ferro.
L’uso che se ne fa nella cucina italiana è vario, ma mai come in quella nordica: forse perché noi siamo ricchi di tantissime varietà di verdure, mentre nei paesi freddi questa abbondanza non c’è, ed allora utilizzano al massimo quello che hanno. Tempo fa postai la Crema di Verdure Polacca, da fare in estate per l'inverno, che infatti è a base di peperone, cipolle, melanzane e carote.

L’altro giorno vi ho anticipato le mie sperimentazioni col radicchio, ed ora ecco la ricetta della zuppa di cipolle, zucca e radicchio. L’ho realizzata una prima volta seguendo una ricetta di un giornale, con birra e farina tostata, ma non mi ha convinto per niente.


Il sapore era particolare, molto forte per i miei gusti: mio marito ha gradito, io un po’ meno. Non ho capito bene cosa abbia conferito quel tono un po’ amaro e saporito, se la birra oppure la farina tostata, certo è che ho replicato la zuppa ma a modo mio, ed il risultato è stato spettacolare.



Io ho usato un pezzo di zucca che era avanzato dalla Zuppa di Cipolle di Elisabetta (vedi Pranzo di Babette), però un’altra volta l’ho fatta con le patate, ed era ottima uguale. E’ ovvio che la scelta degli ingredienti può variare all’infinito, sicuramente sperimenterò altre combinazioni di verdure.

Le cipolle, come tutti sanno, sono di varia dimensione, di vario colore e di vario sapore, ed hanno anche tempi di raccolta diversi. Le cipolle bianche sono più delicate, adatte ad essere consumate fresche, in insalata (vedi la famosa insalata greca); le cipolle rosse sono più aromatiche, adatte anche a loro al consumo a crudo; le cipolle bionde hanno un gusto più pronunciato, e di solito vengono consumate cotte, soprattutto nelle zuppe. I cipollotti sono bulbi colti ancora non maturi, e sono indicati se si vuole un sapore più delicato, simile allo scalogno.

Un trucco per tagliare le cipolle senza piangere è lavarle sotto l’acqua corrente dopo averle tagliate a metà, ma esiste un metodo più pragmatico che io uso con successo, e cioè usare gli occhialetti da piscina, che impediscono che il gas che si sprigiona dal taglio venga in contatto con i liquidi dell’occhio.


Per 2 persone:

400 grammi di cipolle bionde (tre grandi)
Radicchio a striscioline (a piacere)
400 grammi di zucca (oppure due patate medie)
Una carota
Un pezzetto di sedano
Un litro di brodo vegetale (anche di dado)
4 cucchiai di olio
2 cucchiai di passata di pomodoro
Sale, pepe


Tagliare a striscioline il radicchio e metterlo a bagno per due ore, per fargli perdere l’amaro.
Preparare un litro di brodo vegetale con 2/3 di dado (tutto è troppo).

Affettare finemente le cipolle e metterle in una casseruola con un fondo d’olio.

Farle appassire a fiamma vivace mescolandole spesso, per cinque minuti, senza farle soffriggere.

Nel frattempo tagliare la zucca (o le patate) a dadini, tagliate anche la carota e il sedano a tocchetti. Unite le verdure alle cipolle, mescolandole per farle insaporire, poi coprire col brodo caldo, stemperandovi il pomdoro.

Pepare e coprire con coperchio semichiuso, facendo cuocere dolcemente per altri 40 minuti.

Conviene salare solo alla fine, perché il brodo è già salato di suo.

Servire calda, con crostini tostati al forno e un giro di olio buono a crudo.

sabato 17 gennaio 2009

Un film e una ricetta dalle fredde terre del nord

Oggi esce il mio articolo su Blog di Cucina, per la rubrica Un Viaggio nella memoria: la recensione del bellissimo film danese Il pranzo di Babette.



E come tocco finale, una splendida zuppa di cipolle e zucca, perfetta per combattere i rigori del gelido inverno nordico.


Buon fine settimana a tutti!

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