I miei viandanti

martedì 30 settembre 2008

Schiacciata allo yogurt e Uva bianca

Una delle meraviglie dell'autunno è nei colori che comincia ad assumere la natura e per l'abbondanza di frutta e verdura, prima del gelo dell'inverno.

E' tempo di uva e di vendemmia, enormi grappoli accarezzati dal sole, dagli acini dorati e succosi: l'uva è buona, è anche depurativa e ricca di vitamine e sali minerali.

Se poi ha qualche caloria in più rispetto ad altra frutta, tanto peggio: per la dieta meglio godersi la dolcezza di un grappolo di uva che attaccarsi alla scatola dei biscotti o azzannare un cornetto pieno di burro al bar!

Per questo, ho voluto sperimentare una torta leggera (gli ingredienti sono pochissimi) e ricca di uva: il risultato è un dolce basso, umido, morbidissimo e dolce (non grazie ad una copiosa quantità di zucchero, ma per gli zuccheri naturali dell'uva).

Ingredienti:


  • 1 uovo grosso

  • 100 grammi di zucchero+ 50 per la copertura

  • 200 grammi di farina

  • 2 cucchiai di liquore

  • 8 cucchiai di yogurt (non compatto)

  • 1 bustina di lievito per dolci

  • buccia grattuggiata di limone

  • 400 grammi di acini di uva bianca, matura e dolce

Lavare bene gli acini di uva, quindi inciderli col coltello e togliere gli acini. Più gli acini sono grossi e meglio è, ovviamente. La mia uva era dolcissima, la Regina di Bari.

Battere l'uovo con lo zucchero (con la frusta elettrica) montandolo bene, poi aggiungere lo yogurt, il liquore, la buccia di limone, la farina e il lievito.

Aggiungere con un cucchiaio di legno, delicatamente, tutta l'uva.


Versare l'impasto in una tortiera imburrata ed infarinata di 26 centimetri di diametro.

Spolverizzare abbondantemente di zucchero semolato (serve a far venire quella bella crosticina croccante in superficie).

Infornare a 180 gradi per circa 40 minuti.

lunedì 29 settembre 2008

Dolce rustico di ricotta e uvetta



E siamo anche alla fine di settembre, l'autunno si è presentato in anticipo alla porta, ma speriamo che scivoli dolcemente verso l'inverno, il più tardi possibile.

Ormai il cambio-stagione è fatto, ci siamo già rassegnati ai maglioni (e che freddo fa la mattina presto): l'unica cosa positiva è che si riprende anche a cucinare, visto che è ora piacevole accendere il forno!

Ho fatto questo dolcetto preso da un vecchio libro di ricette degli anni Settanta di mia madre, Dolci Caserecci (Longanesi, 1978): è un libretto interessante, pieno di ricette semplici, ciambelloni, torte, strudel e lievitati. Questo è venuto veramente buono, gli ingredienti sono rustici e semplici, come piace a me. Morbido e delicato, è perfetto sia per la colazione che per un bel the pomeridiano (ora si ricomincia ad apprezzarlo).

Ingredienti (stampo da 24 centimetri, a cerniera)
  • 300 grammi di ricotta

  • 200 grammi di zucchero

  • 250 grammi di farina

  • 3 uova

  • una bustina di lievito vanigliato

  • buccia grattugiata di limone

  • 50 grammi di uvetta sultanina

  • arancia candita (facoltativa)

  • zucchero a velo

  • 2 cucchiai di liquore (io ci ho messo del vinsanto)
Mettere a bagno per una mezz'ora l'uvetta, quindi scolarla e strizzarla bene.

Settacciare la ricotta quindi, con la frusta elettrica, montare i tuorli con lo zucchero: aggiungere la ricotta continuando a mescolare, fino ad ottenere un composto cremoso.

Aggiungere farina e il lievito, il liquore, quindi l'uvetta e i pezzetti di arancia candita, la buccia del limone.

In ultimo aggiungere gli albumi montati a neve ferma e versare il composto in una teglia da 24 centimetri imburrata e infarinata oppure, come ho fatto io, foderata con carta-forno.

Infornare nel forno caldo (secondo ripiano dal basso) a 180 gradi per 50 minuti circa.

Sformare e spolverare abbondantemente di zucchero a velo.

lunedì 22 settembre 2008

L'Angelo e il Poeta

Ed eccoci arrivati all'ultimo torrione, il luogo forse più suggestivo di tutto il cimitero: qui si trova l'Angelo del Dolore e la tomba del grande poeta Shelley (rispettivamente al centro della foto e sotto il torrione, a destra)



Durante la salita del viale medio, le ciocche invermigliate degli oleandri fanno da quinta alla grande piramide.


I resti del torrione si ergono ancora maestosi, ancora inviolati. Lo stile neoclassico di queste tombe primo Ottocento è inequivocabile.



Ed eccolo, l'angelo affranto sulla tomba di Emelyn Story, nata a Boston e morta a Roma nel 1894: vi è sepolta assieme a suo marito, lo scultore William Wetmore Story.
L'artista scolpì il suo dolore eterno, come ricordo imperituro dell'amata moglie: non poteva sapere che l'avrebbe seguita nel suo sonno senza risveglio appena un anno dopo, nel 1895.


Ora l'Angelo piange ambedue, uniti per l'eternità.


Notate come la stessa fotografia in ora diverse possa rendere in maniera diversa il fascino dell'Angelo caduto. La luce proveniente da dietro mette in risalto i colori degli oleandri, e dona al marmo candido un bagliore trasparente, come di alabastro.


La luce del pomeriggio illumina solo la statua, lasciando in ombra tutto il resto, e la fredda pietra si riscalda di una luce quieta, carezzevole.




L'Angelo ha un vicino assai illustre: si trova proprio accanto alla tomba di Shelley, sotto il torrione.



Questa celeberrima statua, forse una delle più belle al mondo nella statuaria funeraria, è stata più volte copiata (soprattutto in America ed Inghilterra); più recentemente è stata utilizzata come copertina da alcuni famosi gruppi di musica rock: ricordiamo Once del 2004, del gruppo opera-metal dei Nightwish, con la scritta Once al posto di Emelyn Story, ed anche un EP del gruppo Evanescence.


Il sole al tramonto lascia lentamente spazio all'ombra, che scivola sul marmo come un mantello, avvolgendo l'angelo affranto nell'oscurità della notte.


Mi sono chiesta perchè Gabriele D'Annunzio, descrivendo la scena di Andrea e Maria in questo luogo, sulla tomba di Percy Shelley, non abbia fatto neanche un cenno all'Angelo, così romantico e decadente. Poi, la risposta: nel 1889, quando D'Annunzio scrisse Il Piacere, l'Angelo ancora non c'era. Fu collocato qui solo nel 1895, sei anni dopo.

Ed ora facciamoci avvolgere dalla descrizione suggestiva dello scrittore, per ammirare il luogo dove riposa Shelley.
"In vicinanza del cimitero, discesero; percorsero un tratto a piedi, taciturni. Maria sentiva in fondo all'anima ch'ella non andava soltanto a portar fiori sul sepolcro d'un poeta ma che andava a piangere, in quel luogo di morte, qualcosa di sè, irreparabilmente perduta.




Il frammento di Percy, letto nella notte, le risonava in fondo all'anima, mentre guardava i cipressi alti nel cielo, oltre la muraglia imbiancata."La Morte è qui, e la Morte è là; da per tutto la Morte è all'Opera; intorno a noi, in noi, sopra di noi, sotto di noi è la Morte; e noi non siamo che Morte.

La Morte ha messo la sua impronta e il suo suggello su tutto ciò che siamo, e su tutto ciò che sentiamo e su tutto ciò che conosciamo e temiamo.

Da prima muoiono i nostri piaceri, e quindi le nostre speranze, e quindi i nosri timori; e quando tutto ciò è morto, la polvere chiama la polvere enoi anche moriamo.
Tutte le cose che amiamo ed abbiam care come noi stessi devono dileguarsi e perire. Tale è il nostro crudele destino. L'amore, l'amore medesimo morirebbe, se tutto il resto non morisse..."




Andrea, indicando il sommo dell'altura:

-Il sepolcro del poeta è lassù, in vicinanza di quella rovina, a sinistra, sotto l'ultimo torrione.-
(...)



 

(ricordatevi che l'angelo, sotto l'oleandro, i due non potevano vederlo).
Giunsero, tra le siepi basse di mirto, fino all'ultimo torrione, dov'è il sepolcro del poeta e del Trelawny. Il gelsomino, che si arrampica per l'antica rovina, era fiorito; ma delle viole non rimaneva che la folta verdura.





Le cime dei cipressi giungevano alla linea dello sguardo e tremolavano illuminate più vivamente dall'estremo rossor del sole che tramontava dietro la nera croce del Monte Testaccio. Una nuvola violacea, orlata di oro ardente, navigava in alto verso l'Aventino.




"Qui sono due amici, le cui vite furono legate. Che anche la loro memoria viva insieme, ora ch'essi giacciono sotto la tomba; e che l'ossa loro non sieno divise, poichè i loro due cuori nella vita facevano un cuore solo: for their two hearts in life were single hearted!"



Ella avvolse al velo nero gli steli delle rose, annodò le estremità con molta cura; poi aspirò il profumo, quasi affondando il viso nel fascio. E poi depose il fascio su la semplice pietra ov'era inciso il nome del poeta. E il suo gesto ebbe una indefinibile espressione, che Andrea non potè comprendere.

(Gabriele D'Annunzio, Il Piacere, Mondadori 1965)

Sulla lastra, oltre alla scritta Cuore dei Cuori, sono scolpiti tre versi di Shakespeare: il canto di Ariel, tratto da La Tempesta.



Apro una breve digressione su questo grande della poesia. Non tutti sanno che anche sua moglie fu una famosa scrittrice: ella era infatti Mary Godwin Wallstonecraft in Shelley. Se il suo nome non vi suona del tutto sconosciuto, vi spiegherò il perchè.
Narrano le cronache che una comitiva molto particolare si riunisse, ogni sera, in una villa sul Lago di Ginevra: era l'estate del 1816, un'estate fredda e piovosa.

Percy Shelley e Mary, poco più che ventenni e non ancora sposati nonostante avessero già due figli (Shelley era già sposato, riuscirono a regolarizzare la loro unione solo poco dopo, alla morte della moglie), un certo Lord Byron e il di lui segretario, l'inquietante John William Polidori.

Era una notte buia e tempestosa, come ogni romanzo dell'orrore che si rispetti.

Come racconta la stessa Mary, fu Byron a proporre di scrivere una storia di spettri: i quattro amici si lasciarono, alla fine della serata, con la scommessa di scrivere ciascuno un libro di terrore, come andava di moda all'epoca.
Ma sorprendentemente Byron e Shelley, i due grandi, non portarono mai a termine il compito, gli altri due invece sì, e alla grande.

Mary compose quello che è considerato il capolavoro della narrativa gotica: Frankenstein, di cui Sheridan Le Fanu (Autore del celeberrino Carmilla, un altra perla della narrativa gotica), scrisse: Nel racconto di Mrs. Shelley si aprono porte che avrebbero dovuto restare chiuse, e il mortale e l'immortale fanno prematura conoscenza.

John Polidori, invece, si ispirò al suo datore di lavoro, amato ed odiato, per tratteggiare l'archetipo di tutti gli incubi di fine ottocento: scrisse infatti Il Vampiro, la cui immagine di dandy elegante e crepuscolare, affascinante e dannato, fu di ispirazione per tutti i vampiri seguenti, Dracula compreso (ah, il fascino del male...)

(cfr. Riccardo Rein, Introduzione, in M. Shelley, Frankenstein, Newton Compton 1994)


Un infausto destino, quasi una maledizione, si accanì contro di loro.

Polidori si suicidò nel 1821.Shelley morì l'anno seguente, annegato in una tempesta al largo della costa Toscana, nel 1822.

Lord Byron li seguì nella tomba nel 1824, ammalatosi di febbre mentre combatteva a Missolungi nella causa per la liberazione della Grecia.

Mary sopravvisse a tutti, essendo morta solo nel 1851, dopo aver curato e pubblicato appassionatamente l'opera del marito.
Mary Shelley fu sepolta nel Dorset, accanto ai genitori e al cuore del marito, ivi portato dal suo amico fedele Trelawny, morto molto tempo dopo, nel 1881, e che invece riposa accanto a lui, sotto l'ultimo torrione.

Vi lascio con una delle poesie più belle di Shelley (traduzione di Roberto Senesi, in "Poeti Romantici Inglesi", Milano 1984)

Lamento Funebre

Aspro vento che gemi un dolore
troppo triste per essere cantato;
vento selvaggio dalle cupe nuvole
che tutta la notte risuonano a morto;
triste bufera di lacrime inutili,
nude foreste dai rami protesi
grotte profonde e mare pauroso,-
per tutto il male del mondo, piangete!

Sir Percy Bisshe Shelley scrisse quest'ode nel 1822, lo stesso anno in cui annegò, quasi un presagio di morte.

Il Cimitero Inglese, seconda parte

Se ancora non vi ho convinto a visitare il Cimitero, seguitemi nella seconda parte del giro. Eravamo rimasti alla parte più antica, quella sotto la Piramide Cestia.

Lasciamo però che siano le parole evocatrici di un bel romanzo, sceneggiatura del famosissimo sceneggiato del 1971 Il segno del Comando, a guidarci in questa parte del cimitero: vi è ambientata una scena molto suggestiva in cui il professor Edward Forster, studioso di Byron (e come si poteva trovare un posto migliore, per uno studioso della poesia romantica inglese?), è alla ricerca del diario del poeta, rubatogli poco prima. Una misteriosa telefonata lo avverte che la sua borsa è qui, al Cimitero degli Inglesi.
Dapprima crede di vedere Lucia, la donna misteriosa di cui si è innamorato e che pare provenire da un altro tempo.
Poi, nei pressi di una tomba, scorge un uomo in abiti ottocenteschi.

"Al centro di un grande tappeto erboso, nei pressi di un fossato dove meglio si poteva vedere la base della piramide cestia, Edward notò allora un uomo in piedi vicino ad una pietra tombale.
Uno spettro. Così pareva, forse per un effetto di controluce dovuto ai raggi del sole che filtravano fra un gruppo di pini.
(...) Lo sconosciuto guardò in direzione di Edward e si allontano verso un archetto che apriva alla parte moderna del cimitero (è questo, nd.r.)



Edward oltrepassò l'archetto e osservò la parte più recente del cimitero. C'era un lungo viale alberato: un viale deserto, fatta eccezione per una ragazza che lentamente si stava allontanando.

(...) Con un sospiro (Powell) seguì Edward, che si era avviato verso la tomba presso la quale gli era apparso il misterioso uomo- o spettro- in costume.

Raggiunsero la tomba, 'un'erma di tre gradini sormontata da una figura di donna: una scultura che, in atteggiamento di disperato abbandono, rappresentava enfaticamente il dolore.

- dalla descrizione della tomba, si potrebbe pensare che potrebbe essere questa


oppure il famosissimo Angelo del Dolore, vedi foto sotto, di cui parlerò al prossimo post: però lo scrittore la colloca nella parte antica del cimitero, vicino alla Piramide. Nessuna delle tombe corrisponde alla descrizione, probabilmente si tratta di un'invenzione letteraria.


Sulla pietra spiccava un'iscrizione: "MARCO TAGLIAFERRI PITTORE". Sotto, le date della nascita e della morte.

Edward lesse a voce alta: "Nato il 31 marzo 1834". Impallidì e guardò Powell. "Io sono nato lo stesso giorno, cento anni dopo."
Powell rise. "Attento, Forster, a non morire anche lo stesso giorno, cento anni dopo, naturalmente. Manca meno di una settimana al 31 marzo."
"Morto il 31 marzo 1871", lesse lugubramente Edward.

(Giuseppe D'Agata, Newton Compton editore, 1994)

E' con questo e altri episodi sovrannaturali che il professor Forster si convince di essere la reincarnazione di Ilario Brandani, orafo e negromante (nato il 31 marzo 1734 e morto il 31 marzo 1771), e appunto del pittore Marco Tagliaferri: condannato allo stesso destino di morte precoce, se non riesce a trovare l'oggetto maledetto, Il Segno del Comando, ed interrompere la catena di reincarnazioni che si sono susseguite per tre secoli.
Ma lasciamo l'illustre studioso ai suoi fantasmi e alla setta occultistica che lo perseguita, e continuamo il giro per la parte vecchia del cimitero: questo giovanotto mollemente sdraiato è Sir Devereux Plantagenet Cockburn, morto a Roma nel 1850, "amato da tutti quelli che lo conobbero".


Notate come il marmo prenda una colorazione calda con la luce del meriggio, e si mostri candido e scintillante con il sole forte della mattina (foto sotto)



Il giovane Devereux riposa per sempre sotto lo sguardo affettuoso del suo piccolo cane.


Come si può notare, questa parte del cimitero è decisamente diversa da quella antica.


Ci sono tombe di tutti i tipi, compresa una in caratteri orientali.


Il bianco abbagliante dei marmi si staglia contro il cielo turchino: questo angelo è affranto attorno alla croce della morte



Felci e fitta verzura fanno ombra ai viandanti stanchi.

Il giardino è un tripudio di fiori: cespugli di rose, cascate di oleandri, siepi rigogliose di plumbago si allargano tra le tombe.


Una statua di terracotta delle tre sorelle(dal dramma di Checov) adorna questa tomba.




Sarcofagi di gusto romaneggiante, rilievi e sculture di gusto evocativo


Medaglioni in stile neoclassico, con acconciature primo Ottocento



I rilievi romani erano di gran moda, all'inizio dell'Ottocento: questo giovinetto col mantello è assorto da secoli nella lettura di un rotolo, col suo fedele cane sotto la sedia.


Le tombe recenti sono invece modernissime e fantasiose: questo cubo appartiene all'architetto Giuseppe Perugini


Stiamo salendo verso l'Angelo del Dolore e verso la vicina tomba di Shelley: sullo sfondo si staglia l'imponente sagoma candida della Piramide.



Il giardino è, a tratti, incolto, disordinato: questa folta siepe di plumbago ha preso il sopravvento sulle antiche tombe.


Siamo pronti per rendere omaggio al genio del poeta.

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